Ci risiamo.
Quale che ne sia la forma, l’avvicinamento all’Esame di Stato – la cui denominazione risale al 1997 – fa riscoprire, non solo all’opinione pubblica e ai media, ma anche a rilevanti quote degli addetti ai lavori, lo spirito bigotto e paternalista della “maturità” .
Così come molti continuano a sussumere le scuole secondarie di secondo grado nelle “superiori”, quasi a riaffermare la vera vocazione del percorso formativo e la piena autorevolezza della professione docente.
Accanto a questa (per me) insopportabile forma di conservatorismo – forse nostalgico, certo autoreferenziale –, si colloca l’ancora più pericoloso “innovativismo”, ovvero il lessico pseudo-competente a proposito del “digitale”.
Mi riferisco all’uso di espressioni come “un powerpoint”, “un padlet”, “postare” e così via.
Si tratta infatti di una forma di comunicazione che, oltre a configurarsi come sintomo di un giovanilismo spesso imbarazzante e ingiustificato, testimonia l’ingabbiamento – culturale, prima ancora che professionale – in una forma mentis pienamente adattata e in un approccio adattivo, con atteggiamenti e agenda totalmente subordinati al pensiero e alle proposte mainstream .
L’adozione disinvoltamente acritica – anzi, quasi esibita – di formulazioni come queste, ovvero di parole-ombrello, di significanti-quasi-vuoti , configura infatti l’abdicazione alla pratica in prima persona del pensiero analitico, alla capacità e alla volontà di assegnare senso e significato a obiettivi definiti e concepiti in funzioni di contesti precisi, a favore di una visione ingenua, olisticamente fiduciosa nella valenza progressiva dei dispositivi digitali in quanto tali.
E ha come conseguenza la rinuncia a comprendere che ci rapportiamo non con semplici strumenti, ma con congegni articolati e complessi, concepiti per supportare – e per ciò stesso condizionare – selezione, progettazione, attuazione, organizzazione monitoraggio, tracciamento e valutazione di molte tra le attività complesse in cui consistono il lavoro, la conoscenza, l’intrattenimento, le relazioni interpersonali e così via.
Sarebbero invece necessari processi di semantizzazione lucida : consapevoli, attenti, curati e condivisi.
Non solo per discutere tra noi in modo davvero utile sull’efficacia effettiva di “diapositive digitali”, “bacheche” e “pubblicazione di messaggi”, ma anche per andare oltre la superficie abbacinante e indagare le parti buie, sapientemente nascoste, ovvero la natura estrattiva, la vocazione alla produzione di valore e l’intenzione capitalistica delle piattaforme che con l’emergenza sono entrate nella quotidianità dell’agire didattico.