Nel suo ultimo libro, Educare controvento [1], Franco Lorenzoni racconta maestre e maestri legati da vite ribelli, spese per rendere la scuola italiana più equa, più giusta, più attenta, più rispondente a quell’art. 3 della Costituzione, che dovrebbe guidare le scelte, le azioni, le prassi alla base del nostro sistema d’istruzione.
Si alternano, nelle pagine del libro, le figure di Piero Calamandrei e Don Lorenzo Milani, Nora Giacobini e Alessandra Ginzburg, Mario Lodi, Alexander Langer e poi Emma Castelnuovo, che di Lorenzoni è stata l’insegnante di matematica alle scuole medie.
Fino ad arrivare a due giovanissime donne, una svedese e l’altra afgana, Greta Thunberg e Malala Yousafzai, che da studentesse si sono ribellate nei loro paesi allo stato delle cose, ponendo questioni universali e urgentissime, con una forza commovente e disarmante, capace di valicare i confini delle nazioni in cui sono nate e d’imporsi all’attenzione del mondo intero.
I capitoli dedicati alla narrazione di queste vite straordinarie si alternano alla descrizione delle esperienze vissute da Lorenzoni con i suoi piccoli allievi, dalle quali emerge come il fondatore della Casa-laboratorio di Cenci, in Umbria, abbia tratto linfa e pensieri da quelle storie capaci di illuminare le scelte di chi insegna [2].
In questa sequenza di figure potenti e appassionate, ci sarebbe stato benissimo un altro eccellente maestro ribelle, quel Pier Paolo Pasolini recentemente celebrato nel centesimo anniversario della sua nascita. Non a caso, nelle pagine del volume Per una pedagogia emancipante. Pasolini con rustic amour [3], emerge con chiarezza, dai contributi dei diversi autori, che per il Pasolini maestro l’educazione è una questione politica e la scuola un luogo che deve agire per l’emancipazione delle giovani menti dei suoi studenti, altrimenti non ha senso.
Si tratta di convinzioni evidentemente comuni all’agire delle maestre e dei maestri ribelli del libro di Lorenzoni. Senza scendere nello specifico delle battaglie condotte da ciascuna e ciascuno di loro, il testo promuove, quindi, da una parte l’immagine di una scuola che possa essere davvero per tutti, a prescindere dal vissuto privato, dal contesto culturale, sociale ed economico di provenienza, a prescindere da eventuali disabilità: una scuola, cioè, che sappia sul serio garantire pari dignità, rimozione degli ostacoli e pieno sviluppo della persona umana e quindi, come si legge nel libro, “all’altezza della sua Costituzione”.
Ma, d’altra parte, il volume promuove anche l’idea di una scuola in grado di formare cittadini liberi e pensanti, e quindi incapaci di adattarsi passivamente a una realtà piena di storture, bensì propensi e pronti a far esplodere, attraverso quegli strumenti culturali che dovrebbero essere il risultato del tempo in aula, le contraddizioni in cui viviamo immersi.
I due aspetti sono senz’altro strettamente legati tra loro.
Sono convinta che questa visione di scuola sia alimentata in tante classi del nostro territorio, non senza fatica, da maestre e maestri a loro modo “ribelli”, che quotidianamente si scontrano con un sistema che, invece, nonostante le Indicazioni nazionali o le chiacchiere vuote relative ai famigerati percorsi di educazione civica, procede compatto verso un’altra direzione, quella di una scuola troppe volte escludente e mortificante, il cui fine ultimo sembrano essere i voti in pagella, le carte a posto e un’apparente serenità che non crei problemi a nessuno.
Se pesco dal mio vissuto, alla ricerca di esempi significativi, in maniera particolare rispetto all’insegnamento di una materia, la matematica, che spesso viene purtroppo proposta con modalità che escludono e allontanano gli studenti, creando dei veri e propri corto circuiti emozionali negativi, penso alla scuola inclusiva che è emersa dalle parole di Maria Mellone, presidente della Ciim, nel bel convegno “Ricerca in pratica: la ricerca in didattica della matematica per la scuola” (maggio 2023) [4], che ha raccontato come, a partire dal progetto Proud of you, la matematica possa essere strumento per creare coesione sociale.
O, ancora, penso ai “Percorsi di educazione libertaria e condivisa”, portati avanti da Giulia Cardone, da anni docente di matematica e fisica in diverse scuole di Palermo e per un periodo anche di Napoli [5].
Ma, più in generale, senza andare nello specifico di una singola disciplina o attività, penso alle esperienze di insegnamento all’aperto in risposta alla chiusura prolungata delle scuole durante la pandemia, che si sono realizzate in varie regioni italiane, e in particolare in Campania, dove la chiusura è stata protratta per un periodo infinito.
Penso a quelle scuole virtuose della periferia della mia città, dove, facendo sforzi straordinari, dirigenti illuminati e docenti appassionati riescono ogni giorno a compiere piccoli miracoli e a opporsi alla barbarie di un tempo in cui il Ministro dell’istruzione dichiara che umiliare gli studenti può essere cosa giusta e lo Stato pretende le bandiere a mezz’asta per la morte di un ex Presidente del consiglio che incarna tutto quello che la scuola mai dovrebbe essere.
O penso anche semplicemente a tutti quei docenti e quelle docenti che sanno cosa sono la cura e l’attenzione per i discenti e fanno una scuola che è sostanza e non forma, mettendosi spessissimo contro colleghi e dirigenti.
Queste esperienze coraggiose, però, e le tante altre che non ho nominato o che non conosco, restano comunque isolati momenti di bellezza e di senso in un panorama generale desolante.
Sorge allora legittima, necessaria e urgente una domanda: ma una scuola per tutti, ovvero una scuola capace di assolvere al suo compito (cioè formare e accendere e non ammaestrare e spegnere) dovrà continuare ad essere un atto di ribellione o potrà diventare un giorno un atto di giustizia?
Perché questo giorno arrivi, la scuola deve smettere di essere lo specchio di un paese classista e assuefatto al peggio, un luogo che invece di essere “possibilità”, troppo spesso è uno strumento per selezionare e alla base di tale selezione c’è quasi sempre il “merito” di nascere nel posto giusto (eppure, come si legge all’inizio di Educare controvento, “Nessuno sceglie dove nascere”).
E quella scuola dovrebbe far sì che le maestre e i maestri ribelli, quelli di Lorenzoni e quelli che, quasi sempre da soli e in territori difficili, riescono a realizzare esperienze sensate e preziose, smettano di essere bellissime e luminose eccezioni, e divengano modelli da seguire, a partire dai quali costruire un’altra idea di scuola. E di società.
1. Si veda, su insegnare, la recensione di Maurizio Muraglia .
2. Anche insegnare ha deciso di dedicare alcune schede e riflessioni a “Maestre e maestri per chi insegna”.
3. Si veda, su insegnare, la recensione di Annalisa Marcantonio .
4. Si vedano qui alcune informazioni sul convegno.
5. Qui alcune informazioni sul lavoro di Giulia Cardone.