La lettura dell’ultimo libro di Franco Lorenzoni è come una boccata di aria fresca dopo giorni passati al chiuso con aria viziata. Già il titolo e il sottotitolo urlano un’obiezione di coscienza pedagogica, con la loro istanza resistenziale. Lorenzoni ci ha messo dentro quarant’anni di pratica e di riflessione, di vita vissuta e di libri. Ha titolato i capitoli dispari con i capisaldi della scuola in cui crede, la scelta, il corpo, lo spazio, il tempo, il dialogo, l’arte del convivere, la conversione ecologica. Capitoli di scuola reale, con bambine e bambini operosi e maestre e maestri che insegnano loro ed imparano da loro. È la grande esperienza di Cenci e di Giove in Umbria, nello spirito del Movimento di Cooperazione Educativa. Ma ha titolato i capitoli pari con le sue maestre ed i suoi maestri, conosciuti e studiati, Piero Calamandrei, Alessandra Ginzburg, Emma Castelnuovo, Nora Giacobini, Mario Lodi, Lorenzo Milani, Alexander Langer e per giunta le contemporanee Malala Yousafzai e Greta Thumberg, piccole eroine del nostro tempo vibranti di militanza politica ed ecologica. Il libro chiama in causa anche le esperienze dei maestri di strada, il progetto Chance a Napoli e i laboratori realizzati a Palermo. Chiama a raccolta tutta la scuola che ha preso sul serio la Repubblica che rimuove gli ostacoli.
Ma che operazione è questa? Chiamare in scena una vita professionale, vissuta e meditata. E offrirla in modo semplice, umile, senza alcuna spocchia, con lo spirito del pellegrino in cerca del senso pieno per tutte le cose che ha fatto, che ha detto e che ha scritto. Involontariamente divisivo, questo libro. I lettori sono implicitamente individuati. Chi è controvento e ne è ben fiero. Chi è secondo il vento e ne è ben fiero. Chi è secondo il vento e se ne rammarica. Non esiste chi è controvento e se ne rammarica. Se hai coraggio non torni indietro.
Gli anni di Don Milani e Mario Lodi, alla cui corrispondenza è dedicato lo splendido capitolo 10, erano anni in cui la scuola era talmente classista - anche a fronte della scuola media unica da poco istituita - che la ribellione in nome della scuola democratica si rese necessaria. Oggi la scuola è ugualmente classista ma non si vede più. Il politicamente corretto parla di inclusione, di cittadinanza, di democrazia, di centralità del soggetto che apprende. Ma perde ugualmente un sacco di ragazzini ed i titoli di studio continuano ad essere quelli dei padri e delle madri. La chiamano povertà educativa, come se a generarla non fosse in tanti casi la scuola stessa con i suoi rituali didattici e valutativi lontani anni luce dagli allievi reali. Leggendolo mi sono chiesto se il libro di Lorenzoni fosse anacronista. La scuola che ha praticato ed in cui crede oggi è possibile? Qualcuno la fa?
Come si resta indifferenti davanti ad affermazioni come queste: “Penso potremmo affermare senza sbagliare che il principale strumento di lavoro per chi lavora con bambine e bambini sia il proprio volto e i trentasei muscoli che lo muovono” (pag. 70)? Siamo invasi da piattaforme di formazione, corsi sulle emozioni, esortazioni ministeriali, linee guida, e poi Lorenzoni ci dice queste cose lapidarie. Ma se quel volto è privo di vita, quale corso di formazione servirà?
Sfilano Piaget, Pestalozzi, Freinet, Freire, Ciari. Pagine di aria fresca, che ti fanno sentire in campagna, lontano dalle sigle pseudoinclusive come BES, PDP, DSA che giustificano clinicamente la necessità costituzionale dell’inclusione, lontano dalle comparazioni dei test standardizzati, dai rapporti di autovalutazione, lontano dalle signore e dai signori dell’apparato che devono misurare, rendicontare e creare slides per spiegare che in classe si può anche ridere insieme. Cioè si può essere normali.
La ribellione del sottotitolo. Ma ribellione a che cosa? Se Lorenzoni parla di movimento creativo in classe, se coniuga verbi come costruire insieme, manipolare, dialogare, ricercare, sperimentare, se dice: “Noi insegnanti, e io per primo, spesso a scuola conduciamo un finto dialogo. Diamo voce a bambine e bambini ma poi chiudiamo rapidamente il discorso affermando noi quale sia la verità. Il dialogo euristico, il dialogo in cui insieme scopriamo qualcosa, invece è pratica lunga, complessa, e richiede tempo, perché si inoltra in territori inesplorati. Ma per molti insegnanti, purtroppo, non sapere dove si va a finire è un qualcosa di temibile da evitare” (pag. 228), se dice questo, a cosa vuol ribellarsi? Se parla di “pensiero lento” di cosa parla?
Questo libro per molti insegnanti avrà lo stesso effetto provato da chi è uscito dalla caverna, secondo il celebre mito peraltro evocato dall’autore nelle ultime pagine del suo libro dedicate a Greta Thunberg. Tutte le mattine le scuole di questo tempo ritengono reale la loro esperienza quotidiana. Naturale. Il testo di Lorenzoni, con la sua narrazione didattica, attira l’attenzione sul fatto che tanto di quel che avviene al mattino è del tutto innaturale. Ingessato. Formalizzato. Ufficializzato. Racconta la didattica come un’esperienza viva, dialogata, movimentata, sorprendente, un’esperienza in cui si canta e si ride, in cui chi insegna non ha come prima preoccupazione la compilazione del registro elettronico e le verifiche. Racconta la meraviglia dell’imparare: “Se tu non trovi il modo di fare tuo, di fare vero un quadro, un libro, un argomento di storia o un teorema matematico, se non lo riscrivi dandogli vita a modo tuo, con parole e sentimenti e ragionamenti che non possono essere che tuoi, quell’oggetto culturale resterà distante, inerte, morto. I più veloci impareranno a memoria quattro parole che lo definiscono e magari sapranno anche rispondere a una verifica e far felici noi insegnanti, ma presto lo dimenticheranno” (pag. 238).
Controvento. Ha ragione Lorenzoni, perché il vento è un altro. Il libro è attualissimo. Il suo autore, è bene ripeterlo, ha smascherato la paradossale continuità tra il tempo in cui il vento era scientemente contrario (gli anni che tradivano dichiaratamente l’art. 3 della Costituzione) ed il tempo, quello attuale, in cui chiunque direbbe che Lorenzoni ha ragione quando invita a non idolatrare i programmi, a non fare scuola per la verifica, a non fare una valutazione ragionieristica, a darsi tempo lungo e tempo di profondità. Soprattutto a considerare vero apprendimento ciò che si apprende insieme. Ma i dispersi sono sempre lì, la valutazione, piuttosto che formativa o inclusiva, è diventata buonista per mascherare tanta didattica ancora classista e pedante, tanti bambini stanno ancora in classe inquadrati nei loro banchetti. Corpo, movimento, emozioni, dialogo si spostano sull’extracurricolare, quello che non compare in pagella e non è rilevato dai quiz. Quello dei progetti e degli interventi extrascolastici, ceduti dalla scuola ad altri, per salvare i demotivati.
Perciò il libro è controvento. Perché ti fa uscire dalla caverna e ti fa desiderare una scuola meno preoccupata della burocrazia e più gioiosa, per chi impara e per chi insegna. Più cooperativa. Davvero democratica. C’è troppa tristezza e talora bruttezza nelle nostre scuole. Il libro di Lorenzoni, con tutta la sua galleria di personaggi, di storie, di passioni e di scoperte, è segno che qualcosa da sperare ancora c’è.