“La Legge n. 107 del 2015, all'articolo 1 comma 79, ha previsto che il Dirigente Scolastico «propone gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all 'ambito territoriale di riferimento [...] anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi»".
Così si apre la Nota ministeriale del 22 luglio 2016 dal titolo “Indicazioni operative per l'individuazione dei docenti trasferiti o assegnati agli ambiti territoriali e il conferimento degli incarichi nelle istituzioni scolastiche”, che espone le linee guida del provvedimento.
L'introduzione degli ambiti provinciali determina una situazione per la quale, a partire dall'a.s. 2016 - 2017, i trasferimenti del personale interessato alla mobilità non saranno più su sede. Per quest'anno è coinvolto chi partecipa ai trasferimenti interprovinciali e coloro che sono stati immessi in ruolo a seguito del Piano di stabilizzazione previsto dalla L. 107/15 e che quest'anno hanno lavorato in sedi provvisorie a supporto, a progetto o per supplenze.
Qualora ci siano posti vacanti e disponibili spetta al dirigente scolastico l'avviso pubblico, al docente interessato l'invio del curriculum. Seguirà la proposta di incarico triennale, a seguito di una valutazione dei titoli e di un eventuale colloquio (anche via Skype precisano le Linee guida emanate dal MIUR). Quando si dice la modernizzazione!
Si tratta di una situazione inedita nel nostro sistema, che introduce un meccanismo per l'assunzione del personale della scuola (dopo regolare concorso pubblico) in cui la discrezionalità del Dirigente Scolastico fa la differenza e non si è più titolari su sede, ma su ambito.
Una idea di autonomia di esclusiva competenza delle istituzioni scolastiche, nella fattispecie del DS che la rappresenta, con il massimo della discrezionalità, come richiesto da alcuni soggetti che hanno sempre ambito a una autonomia senza regole.
Il tema della chiamata diretta non è nuovo. Già l'onorevole Aprea ne aveva proposto l'introduzione prevedendo gli albi professionali da cui poter attingere, secondo modalità già collaudate in alcuni paesi europei.
Pur diversa nell'impostazione, la proposta attuale rimane fumosa, lesiva di alcuni diritti che hanno garantito finora il reclutamento e l'assunzione degli insegnanti nella scuola statale.
Ancora oggi sono in servizio insegnanti assunti dopo la laurea a seguito di concorso a cattedra, titolari in una sede scolastica fino a che, per esigenze diverse, hanno chiesto e ottenuto trasferimento su altra sede, assegnato sulla base di un punteggio.
A seguito delle novità inserite nell'ordinamento universitario con riferimento alla formazione iniziale è stato introdotto il concorso riservato agli abilitati, mantenendo di fatto inalterati il reclutamento, l'assunzione e i diritti del personale.
Questo fino alle novità introdotte con la legge 107/15, commi 79,80,82.
Dal 2016 si può essere trasferiti su un ambito provinciale, con la differenza non proprio irrilevante dell'utilizzo al ribasso delle professionalità di scuola, con incarico a cadenza triennale e la possibilità per gli uffici scolastici regionali, se i posti non saranno tutti assegnati, di attribuire alle scuole di ambito i docenti che non hanno trovato collocazione nella scuola prescelta.
Ha suscitato qualche riserva l'opportunità, nell'ambito della trattativa fra sindacati e MIUR, di un accordo politico per ridurre i margini di discrezionalità, poiché queste sono le conseguenze di una pessima legge che è giusto contestare; sono però condivisibili le osservazioni dei sindacati nell'ultimo comunicato stampa, dopo l'emanazione della Direttiva, che si apre con queste parole: "Totale mancanza degli elementi di chiarezza, trasparenza e obiettività che l’intesa avrebbe dovuto garantire, fornendo un quadro certo e affidabile di riferimento entro cui gestire le operazioni di assegnazione dei docenti alle scuole: i sindacati scuola registrano molto negativamente la decisione del Miur di fornire unilateralmente indicazioni operative ai dirigenti scolastici, rendendo ancor più impraticabili i tempi già molto ristretti per adempimenti di rilevante complessità".
L'atto unilaterale del Miur, sostengono ancora i sindacati, che lascia ai dirigenti scolastici la scelta renderà "strutturali i fattori di precarietà derivanti dal venir meno del diritto a una titolarità di scuola", peraltro in assenza di "regole trasparenti e verificabili".
Vero è che già nelle scuole sperimentali (poche per la verità, fra cui la gloriosa Scuola - Città Pestalozzi di Firenze) ciò avviene da tempo. Ma si tratta appunto di istituzioni sperimentali in cui il meccanismo dell'utilizzazione del personale ha una sua ratio. Non ci pare che questa sia la normale condizione delle scuole italiane, lasciate da troppi anni senza una politica di governo del sistema.
Un ulteriore elemento che vogliamo segnalare è la questione dei titoli riconoscibili, che non sembrano garantire i colleghi impegnati nel concorso a cattedra, in via di espletamento. Ci consta che i colleghi abilitati sono tutti in possesso di certificazioni acquisite all'università o nel privato, scelte individuali percorse per garantirsi una migliore posizione nelle graduatorie, non trascurando i "titoli" da incarichi, espletati spesso in solitudine, per far funzionare meglio la scuola.
Sull'elenco fornito ci sembra di poter dire che titoli e incarichi potrebbero essere un elemento a cui ancorare l'assegnazione dei docenti alle classi, non alle scuole, se non ci fossero variabili poco nobili quali la libertà di scelta educativa, ovvero la reputazione dell'insegnante, gli esiti degli studenti a determinare le scelte. Ci risultano ancora classi di serie A e di serie B.
In punta di diritto osserviamo che queste scelte minano profondamente l'unitarietà del sistema scolastico e che gli insegnanti italiani sono una risorsa professionale del sistema e, in quanto tali, il loro reclutamento e la loro assunzione va fatta dallo Stato, coerentemente con i principi costituzionali di cui all'articolo 3, 33 e 34 e le tutele dettate dai CCNL. Non è un mistero che si lavora da anni a contratto scaduto. Altrimenti ne vedremo delle belle!
A chi piace questa modalità di "chiamata"
Non mancano certamente coloro a cui questo provvedimento piace.
Anzitutto l'ANP, che sul suo sito parla di "rivoluzione copernicana" e chiede tempi adeguati per adempiere ai nuovi compiti del dirigente: "L’esame della documentazione [presentata dai docenti aspiranti] potrà essere integrata - e riteniamo opportuno che lo sia, compatibilmente col tempo a disposizione - da un colloquio per discutere motivazioni ed esperienze e verificare il possesso dei requisiti dichiarati. Il dirigente individuerà la candidatura più adatta al PTOF e formulerà la proposta di incarico triennale."
Così come piace a Elena Donazzan, assessora all'istruzione e alla formazione della Regione Veneto, di cui OrizzonteScuola.it, riporta una dichiarazione nella quale non manca di ricordare la paternità politica del provvedimento: "Guardo con favore alla nuova opportunità offerta ai dirigenti scolastici di poter scegliere i docenti, secondo criteri di competenza e professionalità e trasparenza. Si tratta di una opportunità di superamento delle graduatorie legate all'anzianità che ho sempre caldeggiato e che era già stata prevista dalla proposta di legge dell'allora Popolo della Libertà, a firma della mia collega Valentina Aprea, allora presidente commissione cultura alla Camera”.
Anzi, per essere ancora più precisi, sarà bene ricordare come fin dal lontano 2008, l'allora Ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini si prodigasse nel garantire il suo accordo alla chiamata diretta alle scuole paritarie, ovviamente non a caso interessate e sostenitrici da sempre di tale procedura: "Circa il reclutamento degli insegnanti, la Gelmini si schiera per la prima volta a favore della chiamata diretta da parte delle scuole, anche se, corregge subito dopo, «ci deve essere una idoneità nazionale». Ognuno si deve poter misurare «con le persone che sceglie, e deve poterle valutare e anche cambiare, se queste non funzionano». (in una serie di interviste a l'Avvenire poi riportate anche da altre fonti).
Del resto, Fabio Guarna, su La Tecnica della Scuola, ricordava recentemente che nel 2000, commentando le proposte del Ministero Berlinguer, era stato Indro Montanelli a lanciare quella della chiamata diretta in termini che suonano oggi assai familiari: "Siccome la vera e profonda malattia della scuola è la sua incapacità di disfarsi di cattivi insegnanti, ne affiderei la riforma ai Presidi dei vari Istituti coi relativi poteri e responsabilità. Siano essi a scegliere e nominare gl'insegnanti, rimanendo però responsabili della loro condotta e del loro rendimento, da misurarsi a fine anno sulla preparazione degli allievi".
E, naturalmente, non è neppure mancato chi in questi giorni ha fatto notare come l'idea di affidare la scelta dei docenti ai dirigenti scolastici non fosse neppure così lontana dagli intendimenti programmatici dello stesso Ministro Berlinguer....
Ovviamente il provvedimento piace a Marco Campione, capo segreteria del Sottosegretario Faraone: "Anche se il termine «chiamata diretta» non gli garba e ci fa notare che essa non è nella 107 e che i dirigenti non reclutano, «individuano tra docenti già in ruolo quelli con un profilo più coerente con l'offerta formativa della scuola che dirigono.»; da una intervista a OrizzonteScuola.it, dove è possibile anche leggere le sue posizioni a proposito del contenzioso con i sindacati.
Comunque ritorneremo su questo tema perché è vero che se ne dibatte da anni e che rappresenta un valido esempio di concezioni contrapposte di scuola. E si tratta di una questione più "politica" che "sindacale" nel senso che chiama in causa l'idea di scuola, di Stato e di società e non solo le regole di gestione di una categoria professionale. [m.a.]
Il consenso alla chiamata che non si deve chiamare "diretta"
Immancabile il consenso al provvedimento della Senatrice Puglisi, responsabile scuola della segreteria del PD, che consente anche di precisare perché sia lei che altri esponenti del Governo non amino definire questa modalità di reclutamento “chiamata diretta”.
Già nel mesi scorsi, vedi articolo su ed.scuola.com, la Sen. Puglisi l’aveva escluso: “Il ddl la buona scuola non prevede la chiamata diretta. Gli insegnanti sono assunti a tempo indeterminato dallo Stato. Non c’è quindi alcun profilo di incostituzionalità”.
E ora – dichiarazione a Orizzonte.Scuola.it - lo ribadisce: "Si tratta di offrire l'opportunità di incontro, in un ambito territoriale molto piccolo, tra esperienze dei docenti e bisogni delle scuole. Chi rifiuta la proposta della scuola o non viene scelto, sarà comunque assegnato nello stesso ambito dall'Ufficio scolastico regionale. Non c'è alcunché da temere nella buona scuola dunque, ma solo maggiore autonomia e opportunità”.
Per altro, in un altro articolo, sempre su Orizzonte.Scuola.it, qualcuno ricorda – con tanto di video a testimonianza - che la stessa Francesca Puglisi, nel 2012 tuonava contro le ipotesi della Regione Lombardia di approvare procedure di chiamata diretta, definendole un’idea balzana! E allora, dove sta la differenza?
La differenza sta in quella precisazione sull’ambito territoriale. La “chiamata diretta” – strictu sensu – presupporrebbe una più o meno totale discrezionalità del DS (e già qui c’è chi lamenta e chi invece loda che i sindacati vogliano imporre regole e procedure trasparenti al DS) mentre in questo caso, l’incontro fra domanda della scuola (incarnata dal DS che esercita il suo mandato a svolgere un vero e proprio colloquio attitudinale) e offerta del candidato interviene solo a regolare la mobilità triennale sul territorio provinciale senza ledere il diritto del docente già acquisito per altre vie di avere un posto (a tempo indeterminato?) in quella stessa provincia (o come si chiamerà dopo che è stata abolita…)
Fin qui le ragioni con cui gli esponenti del Governo e del PD ci tengono a differenziarsi da analoghe proposte e propensioni di Forza Italia. Tema che può certamente appassionare l’elettore, ma che non muta la sostanza della cosa: questa dinamica innesca una innegabile differenziazione fra le istituzioni scolastiche, dettata non già, è pur vero, come vorrebbe la destra, dall’incontro fra desiderata dei genitori e scelta dei docenti ma neppure, come vorremmo noi, solo ed esclusivamente determinata dalla capacità di governance – come piace dire ai postmoderni– da parte del “pubblico” di perequare l’offerta formativa per evitare squilibri territoriali, riequilibrare differenze sociali, insomma rimuovere quegli “ostacoli” cui allude l’art. 3 della Costituzione e che certamente non ci risulta siano riconducibili all’elenco di requisiti formulati dal ministero.
Questa soluzione intermedia, che oppone alla libertà di scelta educativa le carenze individuate nel PTOF, può sembrare un modo riformista di attutire un poco un concetto di diseguaglianza e una richiesta di privilegi o peculiarità, riconducendo la differenziazione al rapporto fra (auto)valutazione e miglioramento. Ma anche qui sta il nostro dissenso.
La scuola - ogni scuola - deve essere dotata di un organico funzionale alle sue necessità che sono in gran misura eguali ovunque e poi deve essere messa in condizione di lavorare al meglio per i suoi allievi. Il resto, se serve davvero, si deve giocare dentro le dinamiche di organizzazione della comunità educante che però uno non si costruisce sulla base dei suoi "bisogni" o delle sue "carenze" o dei gusti suoi o dei suoi clienti, ma in base alla capacità di far funzionare un organismo delicato e complesso come una istituzione scolastica. Investendo tempo e intelligenza a gestire la scuola, anziché in colloqui atti a scegliere "l'uomo o la donna da mettere al posto giusto". [m.a.]