"insegnare" aderisce alla Campagna "Voti a rendere" promossa da MCE e accolta da numerose associazioni professionali.
La valutazione numerica sgretola ogni sforzo progettuale e didattico, soprattutto nelle scuole del primo ciclo, poiché ogni processo direttamente derivante dai bisogni degli studenti si svuota se viene ancorato ad una scala di misure piuttosto che a ciò che veramente conta: l'attivazione di intelligenza, emotività, fatica all'interno di azioni didattiche scelte dentro i curricoli delle scuole.
I valori numerici sono entità estranee al processo di insegnamento-apprendimento, giacché il processo stesso non è fatto di unità discrete, ma di un percorso articolato e complesso, che acquista significato concreto solo se viene descritto.
La valenza formativa della valutazione, evocata dallo stesso decreto 62/2017, si rinviene solo dentro il discorso didattico e pedagogico e ad esso è organica, e si attua attraverso un approccio descrittivo e proattivo; senza questo, qualsiasi strumento misurativo, per quanto flessibile e raffinato, non serve.
Il provvedimento normativo sopra citato ha portato, inoltre, le scuole ad una schizofrenia procedurale, cioè la definizione dei livelli di apprendimento, espressi in formule descrittive delle competenze acquisite, che dovrebbero assicurare una parvenza di legittimità e uniformità, ma di fatto si sommano in modo spesso non comprensibile alla valutazione numerica.
Pertanto, è per noi pienamente condivisibile la posizione secondo la quale la scuola della Costituzione non garantisce il "superamento degli ostacoli" e il senso stesso dalla sua funzione pubblica aumentando un presunto tasso di oggettività nella valutazione, ma assolve alla sua finalità solo se realizza le condizioni per attuare, gradualmente e con continuità, una dinamica insegnamento-apprendimento per il raggiungimento di obiettivi culturali dentro una comunità civile.
L'abolizione del voto numerico e l'avvio di una prassi di valutazione dentro processi didattici significativi consentirebbe agli insegnanti e alle scuole stesse di recuperare e consolidare un ruolo affidabile all'interno della società civile, in un dialogo franco con le famiglie.
Nel 2008, all'indomani della legge Gelmini che reintroduceva i voti decimali nella scuola di base, "insegnare" pubblicò un dossier dal titolo Quando la valutazione è ricerca, a cura di Mario Ambel e Fabiana Fabiani, la cui prefazione iniziava con queste parole:
Questo dossier … nasce da un problema antico e da una preoccupazione recente.
Il problema è la scarsa diffusione della cultura professionale in tema di valutazione; la preoccupazione è data dalle recenti normative che anche su queste tematiche rischiano di far arretrare la scuola italiana o certamente di rallentarne le possibilità di crescita qualitativa e di innovazione.
L’aspetto più delicato della questione è oggi a chi spetti e attraverso quali strumenti sia possibile realizzare la «valutazione degli apprendimenti», per usare una formula ormai consolidata nelle normative che riguardano sia le pratiche didattiche sia le attività di soggetti ed enti che agiscono all’interno del sistema scolastico, ma fuori dalla classe o dalla scuola.
Per questo abbiamo deciso di affrontare i tre ambiti in cui si articola la valutazione di classe, di scuola e di sistema, proponendo interventi di carattere generale e problematico accanto a spunti operativi ed esemplificativi.
L'anno successivo, nel n.1 del 2009, pubblicammo uno speciale dal titolo "Un voto nel 'merito'" per contrastare l'avvenuta pubblicazione della legge e promuovere una campagna che ne sollecitasse l'abrogazione.
In quella occasione proponemmo anche una forma di obiezione di coscienza professionale: una "Dichiarazione di obbedienza coatta", "da chiedere - scrivemmmo allora - che sia allegata alla documentazione dello scrutinio o da proporre come mozione o come dichiarazione personale accanto alla delibera del collegio sulle modalità di valutazione".
Venne sottoscritta da molte docenti, soprattutto di scuola primaria, ma la scuola non seppe esprimere un movimento di opposizione al ritorno al voto decimale, con cui troppi si illusero di recuperare uno strumento di facilitazione del dialogo con le famiglie e di recupero di una presunta "serietà" della scuola.
Quella dichiarazione potrebbe essere ripresa e rilanciata oggi, in condizioni diverse e con alle spalle ormai dieci anni di inutili e dannosi "voti a schiovere", anche se, purtroppo, nel Paese la sensibilità sociale e l'atmosfera culturale sono sensibilmente peggiorate. O forse bisognerebbe farlo proprio per questo, per opporsi ai non pochi segnali di sofferenza e di arretramento delle istanze democratiche. (m.a.)