“L’asino d’oro” pubblica nel 2015 una revisione di libro già edito da EGA edizioni nel 2005, Insegnare a chi non vuole imparare, di Giuseppe (Beppe) Bagni e Rosalba Conserva. Che senso ha oggi pubblicare nuovamente questo libro? E soprattutto: che senso ha leggerlo?
Il libro raccoglie una corrispondenza tra due insegnanti di due istituti del secondo ciclo, in due città diverse della scuola italiana: Bagni è professore di chimica a Firenze, Conserva insegna italiano in un tecnico di Roma. La distanza geografica, in realtà, non conta nulla: si dipana il dialogo, sostenuto dall’identica riflessione sul fare scuola in un contesto in cui bisogna agganciare gli alunni e portarli con sé dall’inizio alla fine dell’anno scolastico senza perderne nessuno, sia durante che dopo il tempo della strada.
La misura dell’anno scolastico è un po’ la scansione della vita degli insegnanti: per loro, il Capodanno cade il 1 Settembre, non il 1 Gennaio. I due autori si adeguano a questo ritmo, perché è lì che vivono le relazioni tra tutti i soggetti dell’apprendimento, comprese le relazioni tra gli insegnanti e loro stessi.
Le lettere non si alternano come “botta e risposta”: ogni tanto qualcuno dei due tace, ogni tanto la lettera riprende un tema lasciato in precedenza; ciò è sigillo di “autenticità” della riflessione, che non può seguire norme di coerenza argomentativa simili a quelle di un saggio, ma deve svolgersi come un dialogo, alla maniera antica… Entrambi gli autori si pongono un problema, che è nel titolo stesso: “insegnare a chi non vuole imparare”; in questo problema, e nell'intero libro, c’è l’insegnare, come azione costante e fondante dell’identità personale di Beppe e Rosalba, oltre una professionalità che non può essere solo tecnica; c’è “l’imparare”, presentato da entrambi come un processo di miglioramento, di crescita, molto oltre l’acquisizione e la restituzione di contenuti. In mezzo, il “non volere” dei ragazzi: da questa negatività nasce un confronto tra i due autori che si definiscono, pagina dopo pagina, protagonisti di un’attività professionale che si racconta nelle lettere che leggiamo, e che volge il suo interesse alla soluzione del problema del “non volere”.
Attraverso il confronto, si delineano anzitutto due protagonisti che non vivono solo all’interno della mattinata o dell’anno scolastico, ma che in essa si muovono sostanziati dalla loro storia personale, dai libri che leggono, dai film che guardano, dalle occasioni di studio e riflessione che loro due per primi cercano e vivono, indipendentemente dall’immediatezza dell’attività didattica quotidiana. Beppe è presidente del CIDI, legge Vygotskij, Ong, Bruner… ; Rosalba studia e fa studiare Bateson, ama Leopardi, va al cinema… Mi viene in mente Franco Lorenzoni, che, presentando il suo libro “I bambini pensano grande”, a Palermo, a una platea composta prevalentemente da insegnanti, a conclusione disse: “leggete, andate a teatro, andate al cinema… leggete anche cose che non c’entrano niente con la scuola..!”. Coltivarsi, studiare, è formazione di una persona dinamica, che porta questo dinamismo nelle classi in cui opera.
Beppe e Rosalba sono “protagonisti”, ma accanto a loro si affollano tanti altri personaggi, persone e contesti: i colleghi, talvolta superficiali e “manichei”, talvolta invece dinamici nei momenti “ufficiali” di confronto; le famiglie, materia delicata e talvolta sorprendente; la società e gli stimoli di cultura e pseudocultura, facile alibi per il “non vuole” del titolo… Nel libro ci sono soprattutto i loro alunni. Sono alunni in qualche modo “definiti” (scuole specifiche, secondo ciclo…), perciò chi legge non corre il rischio di avere davanti icone di studenti, “caratteri” teofrastei, la cui fissità rischierebbe di semplificare, e quindi falsare, la lettura delle relazioni educative. Restano i “loro” alunni, con cui i due colleghi percorrono strade autonome, inevitabilmente diverse da quelle di qualunque altro insegnante, che il lettore può confrontare con le proprie, ma niente da “copiare”: Rosalba e Beppe non pongono se stessi o le loro attività come modelli, con un’onestà intellettuale e professionale che non si sottrae al rischio del fallimento.
L’anno scolastico è faticoso, infatti, e costellato da una quantità di slanci in avanti e battute d’arresto che si leggono nel libro attraverso il racconto delle esperienza di classe: Rosalba manda gli alunni al cinema e poi gli fa fare la relazione, li stressa con l’ortografia, li porta al parco, li valuta con rigore e con voti numerici a cui attribuisce un grande valore per se stessa e per loro; Beppe accompagna i suoi ragazzi nel mondo dei becchi Bunsen, delle provette e dei reagenti nel suo laboratorio, in cui ama stare con i ragazzi perché lì può evitare la cattedra, da membro dello staff di dirigenza, ascolta i genitori… Entrambi, tra lezioni frontali, uscite più o meno didattiche, autogestione, dialoghi estemporanei, “le provano (quasi) tutte”, per vivere con i loro ragazzi l’esperienza dell’apprendimento.
Non sempre i due riescono, non sempre coinvolgono, non sempre, ma qualche volta sì.
Alla fine dell’anno, alcuni non ce la fanno, e l’ufficializzazione della “bocciatura” è un momento travagliato, in cui devi dare spiegare il “perché” di un fallimento, e non è facile né “istituzionalizzabile” del tutto. Non ci sono “colpe”, ma solo “relazioni” riuscite o fallite, che i due insegnanti hanno costruito con una energia che non si propone onnipotenza, che non è autocentrica, ma si fonda sulla responsabilità del proprio ruolo educativo.
Forse, il concetto di responsabilità è quello che meglio contiene il nucleo di senso del libro, e spiega perché è opportuno pubblicare nuovamente il libro, e leggerlo. In un momento di grande tensione culturale e professionale, in cui si discute di “dignità”, di “ruolo sociale”, di “carriera”, persino di “erotica”, la figura dell’insegnante che Beppe e Rosalba ci presentano è onesta, concreta, animata da un unico valore laico, insieme personale e professionale, implicito eppure fondante: il senso di responsabilità verso gli alunni, veri protagonisti del racconto infinito della scuola.
Sul libro di Giuseppe Bagni e Rosalba Conserva leggete anche la lettera agli autori di Assunta Amendola