Questo è un libro per chi ha conosciuto Chiodi per le sue opere di filosofia e le sue traduzioni di Kant e di Heidegger, ma pure un libro per chi non lo conosce. Definisce bene la complessità di un filosofo, mancato troppo presto al dibattito filosofico, di un insegnante che fu anche partigiano, come appare nel ricordo del suo allievo più famoso, Beppe Fenoglio.
Il partigiano Chiodi scriveva nel 1952:
“ L’orgoglio non è una virtù. Non si dovrebbe essere orgogliosi. Tanto meno di aver fatto qualcosa, come il partigiano, che mirava proprio a ricostruire l’uguaglianza morale tra gli uomini… Ma sono soprattutto orgoglioso di aver fatto il partigiano quando qualcuno mi dice che non dovrei esserne orgoglioso, perché penso che sono io che, combattendo per la libertà, gli ho conferito il dritto di dirmelo.”
Alcuni capitoli del volume - affidati a Giuseppe Cambiano, Cesare Pianciola e Gianluca Garelli - delineano l’attività di Chiodi come filosofo e traduttore, la scelta per un esistenzialismo positivo, il dibattito con Abbagnano e Paci, il rapporto con Sarte e il marxismo, la fondamentale traduzione di “Essere e tempo” di Heidegger del 1953 e il costante confronto con Kant sia con lo scritto del 1961 “ La deduzione nell’opera di Kant” sia con la traduzione della “Critica della ragione pura”.
Per un insegnante di filosofia la lettura è un ottimo esercizio critico perché le posizioni di Chiodi non sono mai datate o scontate, aiutano a ricostruire alcune tappe importanti del dibattito filosofico tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni ‘70. Ma non si limitano a questo, per esempio la traduzione di opere come “Holzwege-Sentieri interrotti”, appartenenti alla seconda fase del pensiero di Heidegger, e gli scritti dedicati da Chiodi al filosofo tedesco, “L’esistenzialismo di Heidegger” e “L’ultimo Heidegger”, sono ancora utili oggi nel dibattito su questo controverso filosofo, la validità del suo pensiero, il rapporto tra l’evoluzione del suo pensiero e l’adesione al nazismo.
Ma il volume presenta due capitoli - “Pietro e Beppe” di Gabriele Pedullà e “ “Accendere dei fuochi. Rileggendo Banditi di Pietro Chiodi”, di Andrea Mecacci - che da soli ne consiglierebbero la lettura, e possono catturare l’attenzione anche di chi non vuole farsi coinvolgere in controversie filosofiche.
“Pietro e Beppe” delinea il sodalizio tra Chiodi e Fenoglio durato un quarto di secolo e lo affronta in quattro prospettive diverse. L’uomo Chiodi ricostruisce l’amicizia tra un insegnante e il suo allievo separati da soli sette anni di età, la comune partecipazione alla Resistenza anche se in bande partigiane diverse, la comune passione politica, che li vede schierati in una sinistra non comunista.
Il filosofo Chiodi sottolinea come il rapporto di Fenoglio con l’esistenzialismo attraverso Chiodi sia fondamentale per la scrittura dei suoi testi. Chiodi il personaggio analizza la presenza di Chiodi nei romanzi di Fenoglio, con lo pseudonimo Monti o con il proprio nome, e soprattutto mette in risalto come la scelta di Johnny di partire partigiano avvenga dopo un colloquio con il personaggio Chiodi.
Il lettore Chiodi, infine, mostra la capacità del Chiodi lettore di Fenoglio di cogliere per esempio il rapporto tra la estrema stilizzazione della pagina e la stilizzazione dei propri comportamenti, in modo tale che "non è possibile parlare dei suoi libri senza giudicarli anche a paragone della sua biografia".
“Accendere dei fuochi” è un invito a rileggere Banditi, il diario partigiano di Pietro Chiodi, perché si tratta del libro o meglio dell’esperienza senza la quale non ci sarebbe stato tutto il resto del suo magistero umano.
Banditi colpisce per l’assoluta assenza di retorica e proprio per questo riesce a trasmettere l’essenziale della scelta e della lotta partigiana. Andrea Mecacci riporta alcun passaggi chiave del testo e mostra come questo diario si possa considerare anche la testimonianza di chi è sopravvissuto ed è ritornato per ricordare quelli che sono morti.
“No, quei mesi non erano riempiti dalla mia salvezza, dalle mie lacrime, dalla vittoria, dalla libertà, erano riempiti dalla loro morte. La differenza fra allora e adesso era questa che allora Noi c’eravamo ed ora Noi non c’eravamo più."
Si può ancora ricordare per invitare alla lettura del saggio in ricordo di Chiodi e, per chi non lo conosca, anche del suo diario partigiano Banditi, un passo del necrologio di Nicola Abbagnano:
“... fu filosofo per la stessa ragione per cui fu partigiano. Si trattava di realizzare con mezzi diversi uno stesso scopo quello di contribuire ad emancipare l’individuo e ad affermarne in modo completo l’umanità”.