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01/05/2024

Educativa, formativa, trasparente, laboratoriale, cooperativa: la valutazione nelle Indicazioni nazionali

di Domenico Di Russo

Alle amiche e agli amici del CIDI di Pescara che recentemente [1] mi hanno invitato a intervenire sul ruolo e sul peso della valutazione nelle Indicazioni nazionali per rispondere alla domanda Le Indicazioni Nazionali sono ancora il faro per insegnare a scuola?, ho risposto con convinzione «sì, lo sono». L’entusiasmo, però, benché sia un prezioso alleato nel progettare e nel costruire, non è un consigliere sempre affidabile quando si tratta di osservare e analizzare.

Aderendo al principio di realtà, alla domanda se le Indicazioni nazionali siano ancora il faro per insegnare a scuola, dobbiamo realisticamente dare due risposte antitetiche. Dal punto di vista normativo, sì, giacché il D.M. 254 del 16 novembre 2012, che introduce appunto le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione [2] è ancora in vigore, per cui «Nel rispetto e nella valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, le Indicazioni costituiscono il quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole. Sono un testo aperto, che la comunità professionale è chiamata ad assumere e a contestualizzare, elaborando specifiche scelte relative a contenuti, metodi, organizzazione e valutazione coerenti con i traguardi formativi previsti dal documento nazionale» (IN: 17). D’altro canto, dal punto di vista statistico dell’effettiva pratica didattico-educativa, no, perché, a ben vedere, le Indicazioni nazionali non sono mai state un faro. I dieci anni di insegnamento al mio attivo, sei da precario e quattro di ruolo, l’esperienza di lavoro nei Consigli di classe e nei Consigli di Dipartimento con numerose decine di colleghi in diversi istituti della provincia di Pescara, le tante occasioni di confronto con gli amici e i colleghi delle associazioni degli insegnanti che operano in Abruzzo, dal CIDI di Pescara al GISCEL Abruzzo, dai circoli LaAV di Roseto degli Abruzzi e di Teramo all’MCE Abruzzo fino all’ANILS Abruzzo, come pure i non meno importanti incontri con gli amici e i colleghi delle stesse associazioni che lavorano in altri territori, restituiscono infatti un quadro alquanto desolante da cui le Indicazioni nazionali risultano note, per essere generosi, a meno della metà degli insegnanti, lette e comprese da meno della metà di questi, praticate e implementate da meno della metà di questi ultimi ed è grasso che cola. Stiamo ragionando su stime approssimative, è vero, ma verosimili. Tuttavia, perché la questione possa essere affrontata con la serietà, la lucidità e la competenza che merita, sarebbe ormai necessario promuovere un’indagine statistica sulla reale ricezione e sull’effettiva implementazione delle Indicazioni nazionali da parte del personale docente del primo ciclo d’istruzione e sarebbe ancora più significativo che ad avviare questa operazione di rilevazione e di analisi fossero le associazioni degli insegnanti riunite ad hoc in un soggetto unitario capace di saldarle intorno ai principi e ai valori comuni senza però eclissare l’originalità di ciascuna.

Ciò detto, in un documento tanto cruciale quanto le Indicazioni nazionali, che dovrebbero costituire il faro e perché no – per restare nella metafora nautica – la bussola della progettazione didattico-educativa in tutti gli istituti comprensivi e in tutte le direzioni didattiche ancora residuali, il campo semantico della valutazione ha un peso specifico non irrilevante: il lessema sostantivale «valutazione» conta 17 occorrenze, il plurale «valutazioni» 5, il sostantivo composto «autovalutazione» 4, il lessema verbale «valutare» 9, la terza persona singolare dell’indicativo presente «vàluta» 4. In questa sede, ci concentreremo sulla valutazione degli studenti, specialmente per quel che riguarda l’organizzazione del curricolo (IN: 17-20), tralasciando la valutazione sia interna che esterna degli insegnanti e degli istituti, pur essenziale, e lo faremo interrogando le Indicazioni nazionali non come un documento a sé stante bensì come la tessera di un puzzle organico in via di coerentizzarsi sul piano normativo.

Nella valutazione degli studenti prescritta dalle Indicazioni nazionali possiamo riconoscere cinque grandi caratteri che si rimandano l’un l’altro, assumendo come stella polare «il pieno sviluppo della persona umana»[3]. In primo luogo, il carattere educativo della valutazione: in ottemperanza alle norme generali definite dallo Stato circa «la fissazione degli obiettivi generali del processo formativo e degli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli studenti; le discipline di insegnamento e gli orari obbligatori; gli standard relativi alla qualità del servizio; i sistemi di valutazione e controllo del servizio stesso» (IN: 13), spetta proprio all’autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo delle istituzioni scolastiche (cfr. D.P.R. 275/1999, Capo II), che trova la sua massima espressione nel PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa, cfr. L. 107/2015, art. 1, commi 5, 12-17), «progettare percorsi per la promozione, la rilevazione e la valutazione delle competenze» (IN: 19), laddove «Particolare attenzione sarà posta a come ciascuno studente mobilita e orchestra le proprie risorse – conoscenze, abilità, atteggiamenti, emozioni – per affrontare efficacemente le situazioni che la realtà quotidianamente propone, in relazione alle proprie potenzialità e attitudini» (ibid.). La valutazione, dunque, non deve essere un momento isolato a conclusione di un percorso didattico ma parte integrante della progettazione didattico-educativa che sostanzia il curricolo verticale, come ribadiscono peraltro le Indicazioni nazionali e nuovi scenari (cfr. Documento MIUR del 22 febbraio 2018, par. 7). S’impara anche valutando, autovalutandosi e valutando insieme agli altri: questo è il valore educativo della valutazione, che la rende significativa.

In secondo luogo e conseguentemente, una valutazione così impostata mostra un’impronta marcatamente metacognitiva e pertanto un carattere formativo: infatti, «precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere, regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo» (IN: 19). In tal senso, la valutazione, i cui criteri sono da definire non a caso in funzione dei traguardi di sviluppo delle competenze raggiunti attraverso gli obiettivi di apprendimento delle diverse discipline, ha il dovere intrinseco di garantire il successo formativo degli studenti del primo ciclo, dovere coerente coi principi del diritto allo studio e dell’obbligo d’istruzione sanciti dalla Costituzione (art. 34), ripreso e rilanciato dalle Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato (cfr. D.Lgs. 62/2017, art. 1, comma 1).

La valutazione deve avere anche un carattere trasparente: in virtù di quanto già stabilito dallo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (cfr. D.P.R. 249/1998, art. 2; D.P.R. 235/2007), difatti, «Occorre assicurare agli studenti e alle famiglie un’informazione tempestiva e trasparente sui criteri e sui risultati delle valutazioni effettuate nei diversi momenti del percorso scolastico, promuovendone con costanza la partecipazione e la corresponsabilità educativa, nella distinzione di ruoli e funzioni» (IN: 19).

Partecipazione e corresponsabilità educativa che si determinano pienamente nel carattere laboratoriale: «Il laboratorio, se ben organizzato, è la modalità di lavoro che meglio incoraggia la ricerca e la progettualità, coinvolge gli alunni nel pensare, realizzare, valutare attività vissute in modo condiviso e partecipato con altri, e può essere attivata sia nei diversi spazi e occasioni interni alla scuola sia valorizzando il territorio come risorsa per l’apprendimento» (ivi: 35). Il laboratorio, quindi, come ambiente di apprendimento che sperimenta pratiche educative, comprese quelle valutative, assemblando materiali e strumenti didattici anche sperimentali, in una prospettiva inclusiva che ridefinisce attività, tempi e fasi di lavoro in spazi ripensati e trasformati. Dal che, proprio per le potenzialità di partecipazione, collaborazione e responsabilizzazione sprigionate dalla concezione laboratoriale della valutazione, deriva il suo carattere cooperativo: una valutazione condivisa, partecipata e corresponsabile, infatti, non è una pratica educativa “semplicemente” collegiale, condotta lavorando in équipe in gruppi ristretti di colleghi o nei Consigli di Dipartimento e di classe – il che sarebbe già tanto – ma comporta anche quella dimensione che possiamo chiamare della co-valutazione, attraverso la partecipazione diretta e attiva degli studenti non soltanto nella collaborazione alla valutazione degli insegnanti e nella pratica individuale dell’autovalutazione quanto pure nella valutazione fra pari, la cui efficacia è dimostrata per esempio dagli studi di Valentina Grion [4].

Tali caratteri hanno un valore trasversale che dovrebbe contraddistinguere la valutazione anche in verticale. Già nella Scuola dell’Infanzia, e ancor più auspicabilmente nel Sistema Integrato 0-6, infatti, «La pratica della documentazione va intesa come processo che produce tracce, memoria e riflessione, negli adulti e nei bambini, rendendo visibili le modalità e i percorsi di formazione e permettendo di apprezzare i progressi dell’apprendimento individuale e di gruppo. L’attività di valutazione nella scuola dell’infanzia risponde ad una funzione di carattere formativo, che riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi di crescita, evita di classificare e giudicare le prestazioni dei bambini, perché è orientata a esplorare e incoraggiare lo sviluppo di tutte le loro potenzialità» (IN: 24). Passando così per la Scuola Primaria, fino ad arrivare alla Scuola Secondaria di primo grado, al termine della quale «Ogni alunno va posto nelle condizioni di capire il compito assegnato e i traguardi da raggiungere, riconoscere le difficoltà e stimare le proprie abilità, imparando così a riflettere sui propri risultati, valutare i progressi compiuti, riconoscere i limiti e le sfide da affrontare, rendersi conto degli esiti delle proprie azioni e trarne considerazioni per migliorare» (ivi: 34).

Tuttavia, dobbiamo riconoscere un dato di realtà: rivendicare la legittimità normativa e la necessità pratica di una valutazione educativa, formativa, trasparente, laboratoriale e cooperativa, così come prescritta dalle Indicazioni nazionali, non significa riaffermare principi talmente condivisi da costituire ormai valori imprescindibili o addirittura scontati; significa invece aprire un dibattito spesso sordo in cui finora ha predominato l’inerzia indolente della tradizione pedagogica gentiliana classista, gerarchica e selettiva, che alimenta la concezione sanzionatoria, punitiva e inquisitoria della valutazione fin qui praticata; significa cioè dividere la classe docente, stando dalla parte assai minoritaria, ancorché “legittima”, più cosciente e potenzialmente unita; significa muovere una battaglia culturale per un sistema di valutazione ancora di là da venire ma per il quale vale la pena battersi.

A fronte di ciò, per realizzare un sistema di valutazione veramente educativo, formativo, trasparente, laboratoriale e cooperativo che sia condiviso dall’intera comunità educante, a partire dai dirigenti e dagli insegnanti per arrivare agli studenti passando per le famiglie, è fondamentale incontrarsi e unirsi per 1) pretendere che la valutazione sia messa al centro di un sistema efficace di reclutamento e formazione in ingresso e in itinere degli insegnanti; 2) rilanciare la collegialità difendendo il ruolo strategico dei Dipartimenti (unitari, verticali e orizzontali) nella progettazione didattico-educativa; 3) sperimentare e fare ricerca-azione insieme, senza paura di sbagliare, condividendo errori e successi. È una strada in salita, è vero, ma non siamo soli e non partiamo da zero, del resto «a gran salita, gran discesa». A lavoro e alla lotta, dunque, verso la meta.

 

[1] CIDI di Pescara, Le Indicazioni Nazionali sono ancora il faro per insegnare a scuola?, «Biblioteca di Via dei Gatti» della Scuola Primaria «Laporta», I.C. Pescara 7, Pescara, 12 aprile 2024.
[2] Annali della Pubblica Istruzione, Anno LXXXVIII, Le Monnier, Firenze, numero speciale 2012.
[3]  Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3, comma 2.
[4]  V. Grion, E. Restiglian, a cura di, La valutazione fra pari nella scuola. Esperienze di sperimentazione del modello GRiFoVa con alunni e insegnanti, Erikson, Trento, 2019

Scrive...

Domenico Di Russo Ha conseguito nel 2011 il Dottorato di ricerca in «Filologia, Linguistica e Letteratura» presso la Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università «La Sapienza» di Roma, insegnante di terza fascia di Italiano, Storia e Geografia.

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