In una scuola che dopo più di un decennio non ha capito la differenza tra misure compensative e misure dispensative, che confonde semplificazione con banalizzazione e complessità con complicazione, ogni nuova – più presunta che effettiva – prospettiva di disruption professionale conseguente a una – più presunta che effettiva – irruzione di “nuovi” dispositivi digitali nell’universo della conoscenza occidentale viene accolta con pieno entusiasmo proselite o con totale rifiuto sdegnato. In entrambi i casi, con assoluta sciattezza concettuale.
Approccio che la trattazione sensazionalistica dei media e dei social (business) network ha portato a livelli estremi con la “discussione” – mai termine fu più inadeguato – sulla cosiddetta “intelligenza artificiale”. Su questo tema esistono infatti, da tempo, numerosi saggi illuminanti, che (se letti) avrebbero avuto ed avrebbero attualmente il potere di sgomberare il campo da alcuni dei sottotemi preferiti sia dai sostenitori senza se sia dagli oppositori senza ma dell’introduzione della suddetta.
A partire dall’utilizzo del termine “Intelligenza” accostato all’imitazione, quindi alla riproduzione, quindi al superamento dei processi cognitivi tipici dagli esseri umani. Sia la proposta di sostituzione del termine con “comunicazione” della professoressa Esposito, sia la definizione di un’intelligenza non antropocentrica del professor Cristianini, infatti, convergono nella spiegazione di quanto i dispositivi fanno davvero: individuare e riprodurre modelli statistici sulla base dei BigCorpora messi a disposizione dalla rete. O – per meglio dire – dai giardini cintati, dal Corporate Platform Complex del capitalismo cibernetico, il solo a possedere non solo dataset in dimensioni utili per l’analisi, ma anche potenza di calcolo necessaria per la loro elaborazione.
E così la nostra “discussione”, anziché porsi il problema della progressiva e monopolistica privatizzazione della sfera pubblica mediante appropriazione totalizzante di ogni forma di conoscenza, trattata come risorsa economica di mercato, si accapiglia su affermazioni che sarebbero risibili se non avessero un grande seguito – plaudente o maledicente, non importa! – presso il pubblico degli addetti ai lavori.
Mi viene in mente la previsione della sostituzione degli insegnanti in un paio d’anni da parte di Bill Gates, prontamente rintuzzata (e contestualmente amplificata per l’immaginario di riferimento) da parte sindacale, imboccando però una delle principali piste semantiche della sciatteria concettuale: la riduzione dell’oggetto dell’anatema a mezzo neutro. Questa prospettiva – ahi noi! – illude sul mantenimento del controllo perché invisibilizza le pre-decisioni, le implicazioni, i vincoli, le regole di ingaggio, i sistemi di relazione, i feedback visibili e le retroazioni sommerse che vengono invece messi in moto da manufatti informatici quali i dispositivi digitali a comando e intenzione capitalistica.
Del resto, a questo tipo di osservazioni difensive sono simmetriche le contrapposte elencazioni propositive di coloro che si affrettano a impilare la maggior quantità possibile di segnalazioni empiriche, in una sorta di parossismo della (migliore, of course) pratica esemplificativa. Entrambe le parti sono, con consapevolezza davvero limitata, ingenuamente sommerse dal meta-mercato dell’attenzione, diventando materia prima di processi di estrazione e raffinamento di dati su opinioni, abitudini, consumi – compresi quelli culturali – basati sull'engagenment polarizzato, sulla facilità di accesso alle unità informative e sulla velocità del loro scorrimento. Basta, per esempio, una breve escursione su Facebook per intercettare imbarazzanti quantità di articoli acchiappa-clic, per lo più commentati in forma sprezzante o iper-apprezzante, spesso solo sulla base del titolo e in funzione dei propri consolidati pregiudizi. E a farlo sono spesso insegnanti – o persone che si qualificano come tali, su spazi di riviste del settore.
Divertirebbe, se non fosse invece il (provvisorio) fondo del baratro culturale, il fatto che a comportarsi superficialmente così sono coloro che – privi di una qualsiasi esperienza in merito e alieni a documentarsi leggendo in modo approfondito – pronosticano che l’impiego dell’intelligenza artificiale premierà la pigrizia mentale e operativa degli studenti e che si tratta pertanto di una diavoleria da cui l’istruzione deve mondarsi.
Se costoro avessero la compiacenza e la modestia di analizzare criticamente quanto succede sul mercato dell’operare cognitivo – in particolare per quanto riguarda l’assistenza alla redazione di testi, alla soluzione di problemi, alla risposta a domande a 360°, alla realizzazione di immagini fisse e in movimento – si potrebbero in primo luogo accorgere che gli studenti non sono tra i potenziali destinatari (clienti) di queste funzionalità.
Non solo perché l’accesso a ChatGPT è inibito ai minori di 13 anni (come una grande quantità di altri servizi profilanti, di cui invece bambini e ragazzini si servono lo stesso, con la complicità degli adulti di riferimento), ma perché un servizio di assistenza prevede che chi lo utilizza sia in grado di valutare la corrispondenza di quanto realizzato con specifici obiettivi prestazionali. Il che non è di norma nelle capacità dello studente medio.
I clienti dei servizi di assistenza cognitiva e culturale forniti dai dispositivi di comunicazione artificiale fondati su dataset, pattern e assetto statistico predittivo condividono – nei fatti, se non sul piano dei valori e dei principi – due elementi costitutivi dell’impianto capitalistico del rapporto con il lavoro e la produzione: la misurabilità (e quindi la computazione parametrizzata) e l’efficienza.
Lo rappresenta in modo molto chiaro la proliferazione delle consulenze su come formulare i “prompt” (le istruzioni/domande da fornire al dispositivo) nel modo più proattivo possibile. Si tratta di forme di intermediazione e di rendita di posizione che si propongono di sfruttare e trarre profitto dalle condizioni di sudditanza culturale in cui è confinata la maggioranza degli utenti dei servizi monopolistici di consumo di conoscenza.
Non è un caso che in questo insieme si faccia largo anche chi si propone di fornire indicazioni agli insegnanti – target di clienti sensato, perché in possesso delle capacità di valutazione dell’efficacia o meno – su come utilizzare i servizi di assistenza cognitiva sul versante professionale, per esempio per la preparazione di bozze di materiale didattico.
Del resto, questo approccio è lo stesso di quello dei soggetti che si sono proposti – già molto prima del lockdown e del distanziamento delle pratiche didattiche – come intermediari con le piattaforme di comunicazione del capitalismo cibernetico e con i servizi di videoconferenza.
Le vie della rendita da asservimento sono infinite.