Sono ormai molte le varianti assunte dall'autoreferenzialità che impedisce a molte comunità scolastiche di esercitare il senso critico nei confronti delle proposte ricevute, partitico-plebiscitarie, istituzionali, editoriali che siano. In un'ipotetica classifica tra di esse, l'entusiasmo per tutto ciò che ha sapore di tecnologia si collocherebbe certamente ai primi posti. E il cosiddetto registro elettronico è certamente un totem quasi irrinunciabile, circondato com'è da uno stupefatto alone di straordinaria efficienza e di modernità certificata.
Non per caso la discussione - anche quella tra i presunti esperti, gli addetti ai lavori, coloro che in ciascuna singola unità scolastica hanno ricevuto la delega di occuparsi di tutto ciò che è “digitale” -, ammesso che prenda piede, è incentrata sul confronto tra le soluzioni offerte dalle diverse aziende private (hai letto bene: aziende private) che vendono (hai letto bene: vendono, anche se a prezzi modici) il servizio alle scuole.
Qualche estremista - schiavo dell'idea che sia tuttora possibile un altro mondo - si ostina, poi, a contrapporre agli applicativi proposti dal mercato il velleitarismo del software open-source, prospettiva di grande valenza ideale, ma con il difettuccio di non porsi il problema di retribuire il lavoro di coloro che scelgono questa strada, dove installazione e manutenzione degli strumenti devono essere svolte dagli utenti.
In tutti i casi, manca completamente una visione di insieme del problema; quella che questo articolo si ostina a stimolare, almeno in qualche sparuta minoranza, cercando di sfatare alcune delle più radicate convinzioni, opportunisticamente sfruttate da coloro che hanno interesse a che permanga l'opacità.
Non è vero che a seguito della revisione di spesa il cosiddetto registro elettronico sia obbligatorio.
La vulgata, le ditte fornitrici e i loro emissari lo sostengono, ma basta leggere la nota del capo dipartimento Giovanni Biondi del 3 ottobre 2012 per capire come stanno davvero le cose. Stallo era allora e a oggi nulla è cambiato.
Non è vero che il cosiddetto registro elettronico faccia risparmiare carta.
Al momento attuale le modalità di sicurezza previste (assegnazione e verifica di nome utente e password) non sono sufficienti per garantire autenticità, integrità e non ripudiabilità dei documenti prodotti, ovvero le caratteristiche obbligatorie per i materiali della Pubblica Amministrazione. Sarebbero necessarie procedure complesse e costose, quali la firma digitale e altri tipi di validazione da mettere in atto nel momento in cui il documento sia stato compilato e non al momento dell'accesso all'ambiente di compilazione. E attualmente esse non sono previste e non sono implementate da alcuna soluzione. Ragion per cui il solo modo di produrre documentazione valida - e archiviabile! - resta la stampa su carta, seguita da firma e timbratura.
Non è vero che il registro elettronico sia un registro.
Gli applicativi attuali funzionano tutti secondo il medesimo modello: ciascun utente inserisce i propri dati in un database che risiede su un server remoto, di proprietà di un privato e in suo esclusivo possesso. Tali dati vengono di volta in volta aggregati in report, sulla base della richiesta del momento, per esempio la situazione di un certo allievo o di tutta la classe in occasione degli incontri con i genitori. Questa aggregazione è però del tutto provvisoria e permette una visualizzazione temporanea dei dati organizzati secondo la richiesta; per produrre un documento valido – opponibile a terzi - di nuovo, bisogna generare un file (tipicamente in PDF) e stamparlo, per poi firmare e timbrare i fogli prodotti. Insomma: ciò che i suoi entusiasti e -so di ripetermi!- spesso interessati fautori chiamano “registro” è in realtà un processo di registrazione su supporto elettronico di documenti in fieri.
Non è vero che il processo di registrazione su supporto elettronico sia vantaggioso sul piano operativo e professionale.
Le linee sono spesso sovraccariche e azioni che sulla carta richiederebbero pochi secondi (individuazione degli assenti, giustificazioni, assegnazione di voti e così via) rallentano in modo evidente, con conseguente sottrazione di tempo alla didattica vera e propria. La logica fondata sulla generazione temporanea di report in base alle richieste individuali, soprattutto, cancella di fatto la possibilità di avere la visione di insieme tipica degli strumenti tradizionali di registrazione: un insegnante non in orario in un certo giorno della settimana, per esempio, non può vedere quella particolare “pagina”, perché l'applicativo non prevede per lui un punto di entrata. Per non parlare del fatto che gli studenti non possono di fatto accedere in modo rapido e utile al “registro di classe”, perché esso è visibile soltanto con le credenziali consegnate ai genitori, mentre i maggiorenni dovrebbero impiegare uno dei dispositivi elettronici che le paradossali disposizioni ministeriali del 2006 impongono loro di tenere invece spenti per tutto l'orario scolastico.
Non è vero che il processo di registrazione elettronico sollevi le scuole e gli insegnanti da incombenze “burocratiche”.
Abbiamo già accennato al fatto che le scuole rischiano inconsapevolmente di violare le norme che impongono loro di avere una serie di diversi archivi, da quello delle pratiche correnti a quello storico, dal momento che i dati di loro proprietà sono in realtà in possesso di terzi. Aggiungiamo qui che anche le procedure della cosiddetta conservazione sostitutiva – chiaramente regolamentata dalla legge – hanno costi e vincoli precisi, di cui sarebbe bene essere consapevoli. Soprattutto, vogliamo mettere in guardia i colleghi che abbiano accettato di fruire di dispositivi di proprietà della scuola, in particolare coloro ai quali siano stati consegnati tablet muniti di applicazioni che consentono la gestione dei dati anche offline (senza necessità di collegamento alla rete), come sottolineano enfatici i fornitori, magnificando le capacità evolutive dei propri irrinunciabili prodotti. Chi sostiene che questa è la soluzione per le frequenti défaillances delle linee di cui sono fornite le unità scolastiche, dimentica di avvisare del fatto che la loro presenza sul dispositivo posseduto rende il possessore stesso responsabile a tutti gli effetti della custodia dei dati, cosa che non succede per quelli online, che, depositati in tempo reale sui server, assegnano tale responsabiltà in modo esclusivo al fornitore di servizio.
E poi, come se non bastasse, il registro elettronico enfatizza il piacere perverso di usare voti e fare le “medie”, anzi farle fare a lui... [m.a.]