Tra i molti temi che alcune riviste online dedicate alla scuola ripropongono ogni anno, accanto alla evergreen abolizione degli esami di Stato o alla lamentazione sulla scarsa serietà di una scuola che non boccia (quest’ultimo peccato essendo attribuito a seconda del pregiudizio preferito al “Sessantotto” o alla “didattica per competenze”), vi è l’interrogativo se gli insegnanti debbano o meno accettare le richieste di amicizie degli allievi su Facebook e/o partecipare a gruppi WhatsApp con scolari e studenti.
Come è nello spirito della socialità algocratica, le risposte sono in genere apodittiche: si va dagli integrati di matrice libertariano-paternalista, che confidano nelle proprie indiscutibili doti di regia didattica, agli apocalittici di matrice oratorio-carceraria, che invece affermano la necessità di mantenere le dovute distanze e di non dare “confidenza”. Insomma, un clima da perfetto “Bar della scuola”, tanto è vero che il dibattito non sfocia in nulla, se non in qualche “shitwar” e viene tristemente ripreso l’anno successivo.
Facebook, WhatsApp e Google sono piattaforme statunitensi, e quindi hanno da sempre dovuto rispettare il limite previsto dalla legge federale Children's Online Privacy Protection Act (COPPA): nessuna persona giuridica (ad esclusione degli enti pubblici) può raccogliere dati relativi a minori di 13 anni: sono obbligatori il preavviso di trattamento ai genitori, il loro consenso degli stessi, l’adozione di misure di sicurezza e il divieto di sollecitare dati direttamente non necessari. Insomma, da sempre la larga parte degli scolari di primaria e secondaria di primo grado non avrebbe potuto iscriversi a nessun mediatore informazionale, se non fornendo – presumibilmente con il compiaciuto consenso di qualche adulto precocista – dati personali fasulli.
Nel 2018, poi, è intervenuto il nuovo Regolamento europeo (GDPR): l’articolo 8 vieta l’offerta diretta di servizi digitali (quindi iscrizione ai social network e ai servizi di messaggistica) ai minori di 16 anni, a meno che non sia raccolto il consenso dell'esercente la potestà genitoriale. Gli Stati nazionale possono abbassare questo limite – ma non scendere al di sotto dei 13 anni – e il legislatore italiano ha definito il limite di 14 anni.
Riassumendo:
Facebook: con età inferiore a 13 anni non è possibile iscriversi, con età inferiore a 16 è necessario il consenso genitoriale;
Whatsapp: con età inferiore a 13 anni non è possibile iscriversi, con età inferiore a 16 è necessario consenso genitoriale;
Twitter: i minori di 16 anni non possono usare Periscope, applicazione per lo streaming video.
Google, invece, dedica alla questione il servizio Google for families, con il quale è possibile aprire “un Account Google per un bambino o un ragazzo di età inferiore a 16 anni o all'età minima richiesta nel paese in cui ti trovi (…). Gli Account Google consentono ai bambini e ai ragazzi di accedere a prodotti Google come Ricerca, Chrome e Gmail”. L’App Family Link permette l’intera gestione degli account, a partire dalla fornitura dei dati iniziali, attraverso gli smartphone iOS o Android di ambedue i genitori.
Insomma, se proprio lo si vuol fare, anticipare la partecipazione dei minori allo sfruttamento semantico dei prosumer e all’estrazione di valore da parte del capitalismo di piattaforma è assolutamente possibile. Ma va fatto secondo le regole: infatti Facebook indica anche come segnalare chi non le rispetta.