Il ricatto di Mark Zuckerberg è chiaro: o si fa in modo che il social business estrattivo possa continuare a saccheggiare le vite, le opinioni e i sistemi di relazione delle persone per raccogliere dati utili per il marketing aggregato e personalizzato o si rischia la chiusura dei servizi di Facebook e di Instagram in Europa.
Un colpo pesantissimo, una presa di consapevolezza che travolge certezze decennali.
Lo è per coloro che si sono illusi di essere di fronte a nuove e straordinarie agorà, salvo dover prendere atto dello scandalo Cambridge Analytica.
Lo è per coloro che hanno illuso colleghi e scolari identificando nelle piattaforme del capitalismo digitale istanze di interazione e collaborazione didattica, troppo spesso ignorando che le norme federali americane – prima ancora dell’entrata in vigore del GDPR dell’UE – ne vietavano l’uso prima dei 13 anni.
Lo è per chi pensa che la formazione degli insegnanti – e degli adulti in genere – nel campo delle tecnologie digitali della comunicazione e dell’informazione debba e possa essere soltanto adattiva: l’innovazione – meglio se in chiave disruption – è il fine ultimo e assoluto dell’agire umano, che segue un approccio utilitarista, quello dell’individuo-impresa.
Lo è per chi ha fatto del concetto di media education il perno della propria attività professionale ed accademica: è l’utente dei dispositivi a doversi fare carico della situazione, imparando a sfruttare le opportunità e a evitare o ridurre i rischi, praticando individualmente la “self digital safety”. E magari propone lenti e meditati percorsi su campioni sperimentali: qualsiasi espediente intellettuale è utile, infatti, pur di affermare di possedere uno scaffale di conoscenze depositarie, utili per affrontare una situazione che richiederebbe invece indignazione etica e iniziativa politica.
Il ballon d’essai del boss di Meta Platfoms, Inc., insomma, dovrebbe far riflettere chi è stato complice del capitalismo digitale e cognitivo nell’affermare che all’attuale scenario – prevalente sul piano infrastrutturale ed egemonico su quello culturale – non vi è e non ci può essere alternativa.
Se davvero gli spazi collettivi venissero liberati delle infiltrazioni dei “signori del silicio”, infatti, potrebbe avere maggiore spazio la rivendicazione di investimenti su piattaforme pubbliche, autenticamente cooperative, soggette a controllo democratico, senza scopo di lucro, aperte e rivolte al supporto di attività e relazioni di comunità con scopi sociali, radicate in esigenze e finalità autentiche della vita del pianeta.