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di Marco Guastavignasopravvivere al 2.0

26/06/2023

Per un’intelligenza – umana! - di qualità

Dispositivi che apprendono senza (bisogno di) comprendere.  Sembra un paradosso, ma è questa la chiave per capire davvero la cosiddetta “intelligenza artificiale”. Non solo perché alla nozione è stato sovrapposto in modo esclusivo e riduzionista un simulatore di conversazioni (ChatGPT), ma anche perché vanno approfondite le radici ontologiche ed epistemologiche generali.
Aiutandosi con varie letture, alcune assolutamente imprescindibili.

Mi riferisco in primo luogo alle riflessioni di Elena Esposito sul concetto di "comunicazione artificiale", con cui sostituire quello di AI. Le mega-macchine digitali, infatti, hanno risultati straordinari non perché sono finalmente diventate intelligenti, ma proprio perché non cercano più di esserlo. Come è evidente nella traduzione automatica (per esempio Google Translator, da qualche tempo in grado di operare anche sulle immagini), che funziona in modo molto efficace. Si è infatti abbandonata l’idea di insegnare agli algoritmi lingue e regole e di farli operare in modo logico-deduttivo, per orientarli invece a trovare regolarità e modelli nelle enormi quantità di testi disponibili in modalità multilingua sulla rete (BigData che diventano BigCorpora). Questa impostazione permette l’elaborazione di prodotti testuali che risultano sensati per le persone che li leggono, ma non per i dispositivi, esperti in statistica e sintassi probabilistica, non in semantica.

Illuminante è anche la tesi di Simone Natale sulle "macchine ingannevoli": fin dal test di Turing l’obiettivo era imitare i risultati dei processi cognitivi degli uomini, non riprodurli. La prova consisteva infatti in un benevolo inganno: la macchina doveva essere in grado, mediante le proprie risposte, di essere scambiata per un essere umano, mimetizzandosi.

Anche per Nello Cristianini l’approccio prestazionale costituisce la svolta e  la scorciatoia Per ottenere esiti efficaci non è necessario investigare un sistema per comprenderne fino in fondo le caratteristiche e le relazioni di causa-effetto, perché si può invece essere pienamente soddisfatti predicendo quello che farà. Questo è il principio su cui si basano composizione automatizzata di testi, classificazione come spam di mail che rientrano in certi pattern, motori commerciali di raccomandazione di consumo e così via.
Molto significativa dal punto di vista dell’orizzonte epistemologico è la definizione da parte del professore dell’università di Bath del concetto di intelligenza svincolata dall’antropocentrismo: la capacità di agire nel proprio ambiente, usando informazioni sensoriali, per prendere decisioni efficaci in funzione di obiettivi definiti, anche in situazioni nuove e in presenza di contromisure ed elementi perturbanti.
Questa definizione si adatta  in modo assai preciso e utile ai dispositivi della cosiddetta AI, concependoli come agenti artificiali di assistenza ad attività cognitive mediante prestazioni che imitano quelle umane. Ciò ha due implicazioni determinanti.

Come detto, si tratta di apparati forniti di intelligenza prestazionale e perciò a chi – come noi – non è addetto ai lavori, ma cittadino e operatore nel campo di conoscenza e istruzione, interessano  non tanto i processi e le procedure, quanto i risultati, i soli paragonabili con quelli umani. In secondo luogo (e soprattutto), agli assistenti artificiali alle attività cognitive  [1] vanno preferibilmente assegnati i compiti esecutivi e ripetitivi, mentre la responsabilità e il controllo di intenzioni, obiettivi, progettazione dell’elaborazione intellettuale e culturale possono e, anzi, devono restare agli esseri umani. Un esempio: Microsoft Word consente la trascrizione diretta (=transcodificazione, dal punto di vista del dispositivo) di una registrazione digitale; You Tube Digest  è una delle molte estensioni per browser che riepilogano un filmato in forma testuale. In ambo i casi sarà poi l’intelligenza umana a dover valutare l’effettiva efficacia del prodotto realizzato dall’agente digitale e a intervenire con eventuali modifiche e correzioni.
“Sbobinare” un intervento – incombenza cognitiva mai considerata da nessuno attività intellettuale significativa, svolta rapidamente in virtù di potenza di calcolo e ampiezza della “memoria-contenitore” dei dispositivi digitali – è un compito preciso, tanto da coincidere univocamente con una funzione del software. In altri casi, invece, l’agente artificiale ha bisogno di una richiesta di prestazione cognitiva articolata e dettagliata.
Ne consegue che per far funzionare in modo davvero utile i simulatori di conversazione, come ChatGPT, Google Bard, Microsoft Bing, o i dispositivi per la produzione di immagini come Stable Diffusion, MidJourney, Image Creator for Microsoft Bing, Adobe Firefly sono necessarie capacità culturali e cognitive elevate e raffinate, tipiche di un’intelligenza umana evoluta e consapevole delle proprie esigenze ed abilità.

Nello schema tecnico corrente, stiamo parlando di prompt: la richiesta che l’essere umano (singolarmente o in gruppo) rivolge all’assistente artificiale per ottenere una prestazione in campo cognitivo. Gli esempi precedenti riguardano testo e immagini, ma ci sono applicazioni che aiutano per video, musica, narrazione, diapositive e schemi.
E quindi: il singolo prompt a cui consegue un risultato immediato o la sequenza dialogica delle conversazioni simulate sono la parte più qualificata dell’interazione di intelligenze. Una richiesta in campo testuale, ad esempio, dovrà precisare all’assistente non solo il tema, ma anche destinazione, scopo, stile, registro comunicativo, lessico e così via, sfruttando le possibilità di dialogo per un progressivo perfezionamento dell’esito, guidato da un intervento umano attento e consapevole.
Insomma, si tratta di imparare ad utilizzare in modo efficace gli assistenti ad attività cognitive, assegnando alla “parte umanail ruolo prioritario, scelta degli obiettivi, progettazione, definizione della richiesta all’agente digitale e valutazione di rispondenza del prodotto a intenzioni e istruzioni fornite ed eventuali interventi integrativi.
Gli insegnanti potranno condividere questo approccio con gli studenti: qualsiasi operazione relativa alla conoscenza prevede abilità cognitive e culturali irrinunciabili e intrasferibili, tipiche degli esseri umani, esperti – a differenza delle mega-macchine – nell’attribuzione di senso e di significato.
Prima, però, bisogna provare varie tipologie di assistenti artificiali e di modalità di progettazione, definizione del compito e analisi degli esiti.

I simulatori di conversazione (per esempio ChatGPT, Microsoft Bing in modalità Chat e – in futuro – Google Bard, ora inaccessibile dall’area europea) permettono attività di redazione di testi molto varie. Richiedono perciò richieste di prestazione inversamente proporzionali alla capacità generale (e quindi generica) del dispositivo, ovvero il più possibile circostanziate sulla base di un’analisi precisa delle caratteristiche dell’oggetto cognitivo che si intende ottenere. Questo può tradursi in una richiesta immediatamente molto articolata: “Sei un redattore di giornale che deve scrivere un articolo a flusso di testo continuo sull’intelligenza artificiale rivolgendosi a un pubblico non esperto, usando stile informativo, registro comunicativo medio, lessico non specialistico, approccio coinvolgente”. Oppure puntare sulle potenzialità del dialogo, dividendo la richiesta di prestazione in più passaggi. Un esempio interessante di questo modo di procedere ci viene fornito da Mashrin Srivastavache sperimenta ChatGPT come revisore accademico utilizzando più prompt: i primi sono di indicazione dell’identità culturale (da “Come revisore accademico, rivedi un nuovo documento. Aggiungerò le sezioni di questo documento di seguito in più messaggi” fino a “Ora che hai tutte le sezioni per questo documento, agisci come revisore accademico e menziona il riassunto del documento, i punti di forza e di debolezza, la chiarezza, la qualità, la novità e la riproducibilità e la sintesi del revisore”). In tutti i casi è opportuno fare attenzione ad eventuali indicazioni di fonti mediante link, oppure chiedere al dispositivo di indicarle in modo esplicito. La modalità di perfezionamento per fasi successive di esecuzione è la più adatta anche a dispositivi per la realizzazione progressiva e interattiva di rappresentazioni grafiche della conoscenza.

Nel caso della produzione di immagini, i prompt devono contenere quanti più dettagli possibile sulle caratteristiche di ciò che si vuole ottenere. Usando Midjourney è possibile non solo accedere ai prodotti di altri utenti, ma anche analizzare le loro richieste, una vera e propria attività propedeutica anche all’impiego di altri dispositivi con lo stesso scopo.

 

Note

1. Per avere piena consapevolezza la definizione va completata con “a vocazione monopolistica”. Solo i grandi player del capitalismo cibernetico, infatti, hanno potenza di calcolo e masse di BigData utili per la modellazione statistica.

Di che cosa parliamo

La rubrica vuole essere presidio del senso critico, contrastare i diversi elementi della deriva demagogica dell’innovazione tecnologica: pensiero pedagogico unico, marketing concettuale, darwinismo digitale.

L'autore

Insegnante di Scuola secondaria di secondo grado e formatore, si occupa da quasi trent’anni di “nuove” tecnologie e rappresentazioni grafiche della conoscenza. Traccia la sua attività intellettuale in www.noiosito.it.




Fogarolo Flavio, Guastavigna Marco,  Insegnare e imparare con le mappe. Strategie logico-visive per l'organizzazione delle conoscenze, Centro Studi Erickson, 2013

Il volume - dedicato all'uso didattico e educativo delle mappe come strumento in grado di sostenere l'apprendimento attraverso l'organizzazione visiva, logica e funzionale delle proprie conoscenze analizza e confronta i tipi di rappresentazione grafica più efficaci, ciascuno con un diverso modello logico-visivo e con uno scopo cognitivo differente. Nel volume si forniscono inoltre indicazioni operative per migliorare l'efficacia delle mappe come strumento compensativo per gli alunni con difficoltà di apprendimento o inadeguato metodo di studio, nonché per ridurre i rischi sottesi al loro utilizzo come facilitatori (mappe fornite già pronte): banalizzazione dei contenuti, apprendimento meccanico, atteggiamento passivo da parte dello studente.