Il 16 giugno è scadenza fiscale: osservo davanti alle banche gli assembramenti mascherati di coloro che – per mancanza di dispositivi o di fiducia nei medesimi, per incomprensione o timore delle relative procedure e così via – scelgono di versare quanto dovuto agli sportelli, i cui servizi sono per altro ridotti rispetto ai già limitati standard di qualche mese fa.
Lo stesso giorno mi imbatto su Facebook in un video composto in larga misura da riprese effettuate con un drone, proposto da un ragazzo come materiale per il proprio esame di terza media. Sotto il prodotto multimediale, già in sé presentato come risultato straordinario e esemplare, una sequenza di commenti entusiastici, tra cui non può mancare il riferimento alla “crisi” come “opportunità”, urticante must dei fan della disruption digitale della didattica.
Nessuna attenzione, nessun interrogativo a proposito dei costi, delle condizioni e delle regole d’uso del dispositivo.
C’è infatti una bella differenza – e non solo di prezzo - tra i droni giocattolo e gli altri. Stiamo parlando di possibilità o meno di avere a bordo una telecamera, di età minima per l’uso, di patente, di sorvolo di luoghi abitati in rapporto alla privacy, di registrazioni amministrative, di distanza massima dal pilota, di altezza massima e così via. Senza citare il fatto che il possesso o la disponibilità del dispositivo introducono nella scuola pubblica una differenziazione determinata da risorse private.
Ma che rapporto c’è tra l’acritica ammirazione per il filmato e la coda per il pagamento in prossimità? Deficit di cittadinanza e di consapevolezza, sia pure di segno opposto: in entrambi i casi, infatti, a determinare l’atteggiamento e il giudizio è una sempre più allarmante ignoranza dei reali termini della questione.