Il video che proponiamo e commentiamo è in circolazione ormai da qualche giorno.
Il capitalismo di sorveglianza passa all'incasso: la scuola e l'università lo hanno utilizzato e lo stanno utilizzando come canale privilegiato nella situazione di emergenza che ha reso necessarie diverse forme di distanziamento delle pratiche didattiche ed è quindi giunta l'ora di riscuotere consenso presso l'opinione pubblica.
O - meglio - di dichiarare la propria egemonia cognitiva, culturale e antropologica. Un neo-requerimiento nei confronti dell'istruzione pubblica, senza se e senza ma.
La vicenda è trattata secondo le più efficaci tecniche manipolative dello storytelling: l'istruzione pubblica entra in crisi; chi comanda inoltra una richiesta d'aiuto; interviene prontamente l'eroico Google, che mette a disposizione tutte le sue magiche risorse; dopo una piccola e necessaria fase di assestamento, la situazione si rasserena e studenti, insegnanti e autorità apicali possono vivere felici e innovativi.
Il lieto fine, del resto, è svelato dalle parole del (già) ministro della Repubblica, Lucia Azzolina, lussuoso testimonial dello spot di Alphabet: «Tutte le famiglie, gli insegnanti, gli studenti sanno che cos'è la didattica digitale integrata. Penso si siano fatti grossi passi avanti. Quindi la scuola italiana post-coronavirus sarà una scuola arricchita. La didattica digitale in classe si potrà fare. Si dovrà parlare la lingua del ventunesimo secolo, che è quella che ormai i nostri studenti e le nostre studentesse ci chiedono».
Una grande opportunità, insomma, da cui usciamo avvolti dalla lingua del futuro: parole-ombrello, significanti-quasi-vuoti assolutizzati ("la" didattica digitale integrata, "la" didattica digitale) a cui ciascuno può associare i contenuti che più gli si confanno.
Sullo sfondo, l'universalismo tecnocratico di GAFAM, che scolpisce definitivamente le proprie modalità operative e il proprio tessuto concettuale nell'immaginario della comunicazione e della cittadinanza.