Io non sono capace di disegnare. E non conosco l’inglese.
Certo, sono in grado di distinguere concept maps da mind maps e da argument maps, così come di capire cosa sia un diagramma "Fishbone". Oppure di realizzare un vasto numero di rappresentazioni grafiche della conoscenza, ricorrendo ai repertori forniti dalle applicazioni dedicate a questa attività, fino al punto di teorizzare in proposito.
Mi viene infatti richiesto di scegliere la struttura più adatta al contesto operativo, cognitivo e professionale del momento e di scrivere testo per definire e connettere tra loro gli elementi costitutivi della struttura medesima.
Da un poco più di un mese, però, sono in grado anche di produrre immagini analogiche originali; ad esempio, quella qui di seguito, la cui didascalia è “Pedagogia dell’umiliazione”.
Ho immaginato la scena leggendo una delle più recenti e orribili esternazioni del ministro dell’istruzione e del merito.
Fino a qualche tempo fa mi sarei dovuto fermare lì; oppure ricorrere alle abilità di qualcun altro. Ma da un po’ dispongo di un’applicazione di intelligenza artificiale che mi fa da disegnatore personale: io concepisco un’idea e il dispositivo la realizza, sulla base del database di immagini con cui è stato addestrato a scomporre, classificare e realizzare le richieste dei propri utenti. Richieste che devono essere il più dettagliate possibile; in particolare, è necessario un riferimento allo stile espressivo desiderato. Insomma, il mio compito è produrre un testo, che il disegnatore artificiale si incaricherà di trasformare in un’immagine. Testo che deve essere in inglese. Ma questo aspetto non è un problema da tempo: ci sono i servizi di traduzione automatica, che – quando la pretesa non è letteraria – sono più che efficienti.
E pertanto l’immagine è rubricata nel mio archivio così come segue, affiancata dal testo mandato in esecuzione:
I dispositivi di questo tipo cominciano a essere numerosi. E comincia di conseguenza a svilupparsi il dibattito sul senso e sul significato dell’intelligenza artificiale “abilitativa”.
C’è chi si preoccupa molto che possa esservi chi “spacci” per proprie elaborazioni che sono in realtà il frutto di processi e procedure realizzate da alias elettronici occultati. Problema etico, deontologico, civile e culturale certamente rilevante. Ma il modo in cui il mio esecutore-artificiale-di-disegni rubrica e archivia ogni immagine mi sembra dare un’indicazione interessante anche in questa direzione: viene infatti esplicitato con chiarezza che siamo di fronte a un’autorialità consapevolmente ibrida, in generale tra essere umano e IA, e nello specifico tra Marco e DALL E.
Mi sembra quindi che l’approccio rappresentato nello schema, purché trasparente ed appunto
esplicitato, possa essere indirizzato vero la promozione dello sviluppo umano, ovvero
all’estensione almeno quantitativa delle capacità impiegabili nelle situazioni di vita e di
apprendimento. A tre condizioni:
- svincolo dall’attuale e piena compromissione con il capitalismo cibernetico;
- inserimento e implementazione invece nella logica della visione critica e sostenibile, ovvero dei dispositivi per l’emancipazione individuale e collettiva mediante relazioni
mutualistiche;
- non subordinazione, nella visione generale, della abilità di composizione grafica a quelle linguistiche.
Sono invece molto diversi, non nel funzionamento – sempre fondato sul machine learning e sull’addestramento a riconoscere, distinguere e riprodurre –, ma negli scopi, gli assistenti artificiali che supportano esigenze c
ompetitive e di mercato.
Sto riferendomi agli estensori autonomi di testi per blog e altre forme di comunicazione, che – dopo una fase di analisi e di training – sostituiscono (spesso in modo non dichiarato ai “lettori”) le prestazioni intellettuali e culturali di autori umani che non dispongono del tempo di lavoro necessario per realizzare tutta la merce linguistica loro richiesta e che quindi devono delegare totalmente questo compito.