L'emergenza che stiamo vivendo è una sfida che sta costringendo noi tutti a ridefinire non solo le relazioni, ma anche i significati che da sempre assegniamo alle attività quotidiane e agli istituti sociali, specie quelli che abbiamo sinora dati per scontati.
È in atto una vera e propria rivoluzione anche nel rapporto con la scuola, che – come presidio chiave della Repubblica – si è trovata da un giorno all'altro “sospesa” tra la consapevolezza dell'essere essenziale e la necessità di reinventarsi in modi e forme a cui nessuno, forse neanche gli apologeti della scuola 4.0, era davvero preparato. Le comunità educanti sono dentro a un processo di messa in discussione che merita alcune deduzioni in itinere.
La prima: si è rafforzata in tutti, anche i più critici, la certezza che la scuola sia infrastruttura sociale determinante, lo spazio nel quale si scandisce il tempo della vita in modo fondamentale non solo per i ragazzi, che appaiono ai nostri occhi come i “bimbi sperduti” di Barrie, fermi in un luogo senza tempo. Dopo i primi giorni di allegria euforica per la vacanza, imprevista come un'allerta meteo, ognuno di essi desidererebbe certo di tornare tra i banchi e persino rivedere le aule anguste, i professori amati e odiati, pur di rientrare in quella rete di legami indispensabili che la scuola al di là della famiglia rappresenta. Ma anche gli adulti, una volta passata l'ansia delle difficoltà di organizzazione familiare, si ritrovano a valutare con preoccupazione, a volte con angoscia, le ipotetiche conseguenze della perdita che stiamo subendo. La scuola per tanti ha smesso finalmente di essere un luogo in cui “mollare” i figli, o da cui pretendere senza dare. Speriamo che questa maturata consapevolezza sopravviva all'emergenza.
Secondo aspetto che colpisce, l'emergere della compresenza, nella scuola dell'autonomia, di una doppia anima: quella forte, capace di autorganizzarsi nella contingenza drammatica, a volte con grande creatività, se a corto di mezzi tecnologici: le maestre d'asilo che rivolgono ai propri alunni via chat messaggi d'affetto, favole e compiti ludico-creativi, le dirigenti scolastiche che organizzano gli uffici da remoto, i dipartimenti che rivedono le programmazioni per dare loro il volto digitale richiesto. Ma anche quella fragile, che è tornata a desiderare la circolare, la direttiva, l'ordine dall'alto, perché oppressa dal carico di una responsabilità che sin dal primo momento è apparsa enorme: dover decidere in merito alla salute, alla sicurezza, alla didattica, alle incombenze amministrative, ai doveri d'ufficio, ai luoghi e ai tempi in maniera improvvisa e senza “ricette” precostituite. La compresenza di queste anime non va ignorata, anche nelle future azioni, perché esse hanno finora convissuto silenti, ma la politica scolastica deve imparare a farci i conti.
Terzo: si fa più pregnante la riflessione sul rapporto tra i saperi della scuola e le tecnologie. Perché con tutta evidenza il nodo non può più essere la presenza o assenza (fisica) di infrastrutture tecnologiche, falso problema dietro cui ci si è schermati spesso, ma la qualità della relazione tra le tecnologie come mezzo (e non fine) e il ruolo che la scuola assegna a se stessa in relazione alle conoscenze e competenze; perché la "competenza digitale" in sé, svuotata dai contenuti e dalla consapevolezza critica, non dice nulla. Nessun contenuto culturale diventa neutro perché veicolato da un computer o trasferito in una piattaforma. Anzi, attingere ai webinar può generare rischi di omologazione e provocare danni che forse si vedranno sul lungo periodo, per esempio in termini di disuguaglianza di opportunità o di accettazione irriflessiva di quel che il mercato dei software didattici offre. Se la scuola del libro di testo poteva essere acritica e a volte noiosa per i ragazzi, non possiamo essere sicuri che quella che stiamo “inscenando” per loro non lo sia, a meno che non si tenga sempre presente che la vera natura della scuola non sta mai nella ritrasmissione delle conoscenze ma nella loro “trasformazione” attraverso l'incontro e lo scambio, quella che gli antichi definivano, appunto, scholè. Incontri a volte imprevisti, con i maestri, con i pari , con domande e curiosità che non si sapeva di avere e che ti cambiano per sempre.
Infine: per questi incontri, per queste “lezioni”, laddove avvengano, appare difficile e riduttivo trovare sistemi di misurazione quali quelli contemplati dalla normativa, dal registro elettronico alle medie matematiche. Non a caso è apparsa indigesta a molti, addirittura fuori luogo, la direttiva n.388 del Miur che sembra voler riportare le esperienze che la scuola sta attraversando nell’alveo delle burocratiche pratiche di monitoraggio, per il tramite del registro elettronico. Un campanello d’allarme per i mesi futuri: se la natura della relazione di insegnamento/ apprendimento è bidirezionale e processuale, e ce ne stiamo accorgendo, forse bisognerà attrezzarsi per passare dagli eccessi di valutazione formale e formalistica (da cui negli ultimi anni ci si è fatti travolgere, specie a livello ministeriale) a una valutazione formativa, più genuina e vera, che guardi ai processi e non ai prodotti. Uscire dalla competizione e dalle classifiche e guardare alla crescita globale delle competenze per la vita.
In "Napoli milionaria" il grande Eduardo chiude il dramma con una frase che è stata molto citata in questi giorni: “Adda passà a nuttata”. Ebbene, mi piace qui ricordare quel che accade negli atti che precedono il finale, quando il povero Gennaro cerca invano di raccontare ai suoi familiari l’orrore da cui è uscito e non vi riesce, travolto dalla loro volontà di rimozione, che poi precipiterà in tragedia. Certo, adesso è il momento di credere che “tutto andrà bene”, come scrivono i nostri bambini, e lottare come stiamo facendo perché si esca presto dall’ora buia. Domani, però, quando sarà finita, la scuola tornerà a essere più bella e più forte di prima solo se saremo in grado di non rimuovere, facendoci travolgere dall’ordinario, e di rielaborare piuttosto quanto sta accadendo mentre la viviamo “sospesa” .