Quel che più indigna chi ama la scuola davvero, avendo a cuore non solo le sorti e le storie individuali delle persone che vi lavorano (il che già di per sé sarebbe sufficiente per essere amareggiati) ma la qualità dei processi di insegnamento/apprendimento che ne costituiscono il "cuore", è il significato implicito ( e per nulla dietrologico) di certe dichiarazioni troppo superficiali espresse da chi più di tutti dovrebbe preoccuparsene, come i decisori politici della cosiddetta Buona scuola.
Il ministro Giannini dichiara il 5 settembre in un'intervista al quotidiano Il mattino di aver vissuto sulla sua pelle l'esperienza del trasferimento: "Avevo trenta anni, vinsi una cattedra a 350 chilometri da casa, mio figlio aveva pochi mesi ed ho fatto la pendolare. Ho grande rispetto per le storie individuali ma questa drammatizzazione è antistorica" . Queste le sue parole. E in effetti, verrebbe da pensare di primo acchito, nessun giovane oggi immagina di realizzare le proprie aspirazioni senza fare i conti con confini globali. È vero, ed è anche comprensibile. Ma c'è una nota stonata in questo ragionamento, a cui i media hanno forse dato scarso peso: il fatto che la (non casuale) macchinosità con cui l'intero processo è stato progettato e si sta realizzando mette a rischio la sopravvivenza stessa di una seria "cultura della scuola", intesa come luogo di emancipazione e fucina dei talenti e dei desideri dei nostri ragazzi.
Caro ministro, bisognerebbe risponderle, antistorica è la svalutazione della scuola trasformata ancora una volta in un serbatoio di persone insoddisfatte a cui dare il contentino del posto fisso pretendendo che non protestino. Ammortizzatore sociale (prevalentemente per le donne e per le donne meridionali) a cui non si attribuisce evidentemente alcun valore. Soltanto così si può spiegare che il "cervellone" informatico a cui il ministero ha affidato le sorti dei nostri insegnanti e dei nostri studenti, abbia assegnato - per esempio - cattedre di sostegno sulle scuole medie a persone che hanno da sempre insegnato, e bene, latino e greco o filosofia nei licei! E c'è anche di peggio... in tutte le classi di concorso, competenze e professionalità sviluppate sul campo in anni di lavoro vengono cestinate in nome di appartenenza a fasce, a fasi, a volte per pura fretta. Non c'è trasversalità dei saperi che tenga, quando si sceglie di dare il ruolo senza badare alle competenze maturate, come se fossero un di più ininfluente! Dichiarando al contempo di credere nei concorsi nei premi e nelle selezioni...
Il ministro può controllare facilmente, se vuole, e dopo ci permetta di chiederle: "Ma se la sua cattedra a 350 chilometri fosse stata in ‘Esegesi delle fonti storiche medievali’ o, che so, ‘Ingegneria informatica’ invece che in fonologia, o glottologia e linguistica, avrebbe avuto la stessa bonarietà nell'affrontare il sacrificio?" Ne dubitiamo, come dubitiamo che sia consapevole degli sfracelli che il farraginoso sistema a fasi che ci si è inventato ha provocato e provocherà.
Probabilmente il ministro se è in buona fede non sa, e non sa perché, come è evidente, il fine del meccanismo non è MAI stato quello di migliorare la qualità della scuola stabilizzandone il personale in modo qualificato ed efficace, ma di togliersi dalle scatole il precariato storico, secondo la direttiva europea trasformata nella filosofia: "Prenditi questo posto fisso - quale esso sia - e non lamentarti!" . Una versione tristemente aggiornata in senso coercitivo di quel patto scellerato degli anni Settanta cui Bottani faceva risalire l'originaria mediocrità della nostra scuola.
Implicitamente ciò rivela l'insuperata certezza che di una scuola "buona" , dove sono buoni gli insegnamenti, buone le relazioni, alte le competenze, eccellenti i traguardi, come si pretenderebbe se invece che di scuola stessimo a parlar di accademia, a un governo che sta usando la demagogia come arma impropria non importa molto...