Mentre si attendono, con buona dose di ansia da parte di scolari, genitori e docenti, indicazioni chiare dal Ministero sulla sorte degli esami finali per I e II ciclo, in questo anno contrassegnato dal ricorso emergenziale alla “didattica a distanza”, vengono al pettine alcune questioni che riguardano il sempre malinteso rapporto tra didattica e valutazione, ovvero tra i processi di insegnamento /apprendimento, per loro natura bidirezionali, e gli esiti in termini di giudizio finale che la scuola “a distanza” può realmente mettere in campo senza cadere nella farsa o, peggio, nell’iniquità.
Provo a formulare tre modeste proposte ispirate a esperienza e ragionevolezza.
La prima. La DAD ha tra i suoi limiti principali la difficoltà a raggiungere tutti, agendo in regime di “non obbligatorietà”, diversamente dalla scuola in presenza; in quanto tale, è mezzo che acuisce la disuguaglianza, non solo per le differenti possibilità di connessione e strumentazione tra alunni con diverse basi socioeconomiche, ma anche perché le è difficile, se non impossibile, come già sottolineato da altri in vari contesti, “agganciare” i soggetti portatori di bisogni educativi speciali (BES), il che mette molti allievi, specie se privi di una forte mediazione familiare, nella condizione di essere “doppiamente” dispersi.
La seconda. Appare fuorviante immaginare che a questa didattica possa corrispondere una valutazione sommativa, legata ad un modello trasmissivo, fatta di medie di voti a compiti e interrogazioni. Anche perché qualsiasi “voto” assegnato a distanza non potrebbe che far media, nella testa del docente, con il giudizio qualitativo e globale sull’alunno che egli conosce in presenza; e per dirla con un paradosso, qualsiasi cattivo voto non avrebbe altra giustificazione che una presunta inadempienza alla presenza on line o un pregiudizio nei confronti di quella stessa inadempienza. Pensare di dover mettere assenze e voti su qualche griglia in questo momento è una follia degna della peggior “buro-pedagogia”. In verità, delle medie dei voti, absurdum logico ed epistemologico, la scuola non avrebbe bisogno nemmeno in condizioni normali. Ancor di più, nell’attuale frangente, ricordandosi che una scuola come si deve sa coniugare sapere, saper fare e saper essere, è necessario guardare agli alunni non tanto e non solo per quel che sanno ma per quel che sono, o sono diventati, nella crescita -anche traumatica- di questo periodo. Ora è tempo di valutazione non formale ma formativa (sui processi e non sui prodotti) e globale.
La terza. Con buona pace di tanti, da molti anni il programma non è il fine ultimo dell’educazione. Troppe stagioni di riforme non sono riuscite a far decollare nel percepito collettivo che esso è stato sostituito da tempo da indicazioni sui traguardi a cui giungere, in termini di competenze culturali; come tale quindi la riprogrammazione delle attività e contenuti nei successivi anni non solo è ammissibile, ma nemmeno dovrebbe essere enfatizzata come problema. Il nodo centrale non è la quantità dei contenuti ma l’uso critico che degli stessi sapranno fare gli allievi domani: il che, come ogni adulto sa bene, è direttamente proporzionale alla curiosità, alla motivazione, all’importanza attribuitavi, al dialogo costruttivo che si realizza per il tramite dei saperi disciplinari e trasversali. Preoccupiamoci di quello, signor Ministro e signori genitori.
In ultimo, mi piacerebbe rivolgere, tanto alle burocrazie ministeriali quanto ai genitori e ai commentatori in generale, un invito: per una volta, almeno, per questa volta, fidatevi degli insegnanti e delle scuole. Lasciate che DAD diventi acronimo di Dialogo a Distanza e che siano i maestri e professori, che i vostri ragazzi li hanno visti fino ad un mese fa e li rivedranno negli anni, a valutare con flessibilità, buon senso , attenzione all’intelligenza cognitiva ed emotiva , i loro progressi e le loro esperienze, auto-valutandosi semmai nel contempo come insegnanti riflessivi. E se qualcuno sta pensando che “però gli insegnanti non sono tutti uguali, ci sono quelli bravi e quelli che invece….” , si ricordi che questo vale però anche per gli allievi, per le famiglie, per i contesti, e che val la pena, in questo momento, di provare a trasformare la contesa in intesa, la competizione in alleanza, l’emergenza in opportunità.